Dame Agatha e il velenoso rapporto col cibo. Quattro chiacchiere con Santa di Salvo

 

Di Marzia Siano

Siamo ad uno degli eventi della rassegna Caffè Noir promossa dal Club del Giallo e dei Delitti di Carta di Gialli.it presieduto da Ciro Sabatino, direttore del Festival del Giallo Città di Napoli, e dalla giornalista Anita Curci, direttrice del periodico Gialli.it.

Questo weekend si è parlato di Agatha Christie e dei suoi misteri.

Cosa successe la sera del quattro dicembre del 1926? Chi era Teresa Neele? Perché dame Christie scappò di casa rifugiandosi in un hotel nello Yorkshire? Risposte a questi quesiti sono venute fuori dall’affascinante ricostruzione letteraria dello scorso weekend. Ma si è parlato anche di altro. In particolare, del rapporto tra il cibo e la giallista più nota di tutti i tempi.

“Agatha era una grande golosa. Si racconta che condisse le sue trame immersa in una vasca con dell’acqua al profumo di mele”, spiega Santa di Salvo.

Domenica 10 dicembre 2023 il Club si è riunito davanti ad una tazza fumante di caffè per parlare anche degli “omicidi gastronomici” della Christie, come li definisce Santa di Salvo.

Dall’astice all’arsenico alle pernici col riso al curry imbottite di oppio, i curiosi del Club hanno scoperto come Agatha usasse la sua conoscenza sui veleni, appresa dall’esperienza di infermiera, per servirsene nei suoi delitti.

Santa, presentati al mondo del Club dei delitti di Carta Young.

“Mi chiamo Santa di Salvo, sono una giornalista e scrittrice. Sono stata caporedattore del Mattino per molti anni e ho lavorato anche per altri giornali, riviste, settimanali e mensili. Ho pubblicato una serie di libri anche connessi al mondo del giallo. Sono da sempre un’appassionata del genere e continuo a praticare questa passione. Nelle storie di Agatha Christie il cibo è sempre sullo sfondo". 

Pura casualità o strategico espediente narrativo?

"Casualità poca. Espediente narrativo strategico in quasi la totalità dei casi, perché il cibo è messo sempre al centro. Il cibo è molto importante nella sua vita, sia dal punto di vista privato che dal punto di vista della scrittura. Anche perché, attraverso il cibo, Agatha gioca con i suoi veleni, che poi sono il materiale classico con cui fa commettere omicidi. Quindi sì, il cibo è il veicolo ideale per gli omicidi che avvengono nei suoi romanzi. Io credo che sia un materiale letterario centrale nella sua bibliografia. Sicuramente per Agatha il cibo non è un accessorio”.


Quanto di autobiografico c’è nei rimandi al cibo nelle sue storie?

“C’è molto di autobiografico perché Agatha amava molto mangiare e amava molto cucinare. È chiaro che nei suoi scritti c’è il piacere molto carnale, come sarà mantenuto anche da altri scrittori, di raccontare il cibo. Di raccontare le specialità inglesi, ma non solo. Anche di narrare i momenti più significativi della giornata legati al cibo. Quei rituali come il tè del pomeriggio e i vari dolcetti accompagnati dalla famosa panna del Devon, che tra l’altro lei amava moltissimo”.


È possibile capire il suo cibo preferito tra le righe?

“Oltre, appunto, alla panna del Devon che viene molto spesso citata, (d’altronde lei stessa dice che la mangiava sin da bambina), amava sicuramente pietanze molto inglesi. Sicuramente prediligeva alimenti burrosi come i dolci, i pasticcini. Però era incuriosita anche da altre cucine, tant’è che il famoso tè inglese non era il massimo della vita secondo lei. Forse preferiva di più una bella tazza di cioccolata calda o una tazzina di caffè”.

Di tutti i suoi libri, qual è il tuo preferito? O quello che ti fa venire più fame?

“Quello che mi fa venire più fame no, perché non sono ricette che noi amiamo moltissimo. Non rispecchiano la nostra tradizione culinaria. Il mio preferito è sicuramente il classico dei classici: Dieci piccoli indiani, insomma. E non ne rimase nessuno, come l’hanno poi chiamato. Perché secondo me è geniale, proprio come meccanismo e costruzione del libro”.

 

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