Di Marzia Siano
La mattina del 18
ottobre 1590, Donna Maria D’Avalos giace senza vita nel suo letto in Piazza San
Domenico Maggiore a Napoli. A pochi passi da lei, disteso a terra, c’è Fabrizio
Carafa.
Entrambi i corpi nudi
vengono esposti sulle scale del palazzo. Il Palazzo Sansevero, costruito da
Paolo Di Sangro in quello stesso secolo.
La Gran Corte della
Vicaria, il tribunale napoletano di ultima istanza per materia civile e
criminale, giudica l’accaduto come un duplice omicidio: il principe Carlo
Gesualdo di Venosa è colpevole di aver ucciso sua moglie e l’amante di lei. Lo
conferma la comunicazione ufficiale di un ambasciatore del Senato in viaggio a
Napoli. Datato 19 ottobre 1590 il comunicato recita così:
Don Carlo Gesualdo, figliolo del prencipe
di Venosa, et nipote dello illustrissimo cardinale [Alfonso Gesualdo, decano
del collegio cardinalizio], appostatamente salito martedì alle sei ore di notte
con sicura compagnia alla stanza di donna Maria d’Avalos, moglie et cugina sua
carnale, stimata la più bella signora di Napoli, ammazzò prima il signor
Fabricio Caraffa [sic], duca d’Andria, che era con essa, et lei appresso, di
questa maniera vendicando l’ingiuria ricevuta.
Don Carlo e Maria D’Avalos
si erano sposati il 28 aprile di quattro anni prima.
Lui era uno dei più
famosi madrigalisti di quel tempo ed anche uno dei cognomi più prestigiosi a
Napoli. Lei era la donna più bella in città. Figlia del principe di
Montesarchio Carlo D’Avalos e della principessa di Venosa Sveva Gesualdo, era
rimasta vedova per due volte. La prima volta di Federico Carafa, da cui ebbe
due figli entrambi morti prematuramente. E la seconda di Alfonso Gioieni, un
nobile di origini siciliane.
Nel 1586 era stata promessa
nuovamente in sposa, questa volta con suo cugino. Infatti, il padre di Carlo
Gesualdo e la madre di Maria D’Avalos erano fratelli.
Dai primi fiorenti anni
di matrimonio era nato Emanuele. Ma Carlo era spesso assente. E Maria spesso
corteggiata. Uno dei suoi più ostinati corteggiatori era Giulio Gesualdo, lo
zio di Carlo.
Una notte, durante una
riunione dell’aristocrazia napoletana, la bella Maria conosce Fabrizio Carafa
D’Andria. Di famiglia nobile, il duca D’Andria veniva soprannominato l’Arcangelo
per il suo elegante fascino. Ma anche lui, come Maria D’Avalos che era al suo
quarto anno di nozze, era sposato. Maria Carafa, sua moglie, gli aveva regalato
quattro figli.
Ciò nonostante, tra i
due inizia una segreta relazione d’amore.
Segreta fino a quando
Carlo Gesualdo, informato dallo
zio
Giulio, decide di tendere una trappola ai due amanti. Quella sera del 17
ottobre uscì di casa, con il pretesto di passare la notte a caccia agli
Astroni. Ma, di proposito, ritornò presto. E li colse in flagrante.
Leggenda narra che da
quella notte le urla della bella Maria riecheggiano tra i vicoli bui del centro
storico di Napoli. E così tutte le notti. Finché nel 1889, con un tonfo, crollò
l’ala sinistra del palazzo Sansevero,
mostrando la stanza in cui gli amanti furono uccisi. Da quella notte le urla
cessarono. Ma, tra la chiesa del Gesù Nuovo e l’entrata del palazzo, uno
spettro femminile dai lunghi capelli scuri iniziò ad aggirarsi di notte, come si inventò e scrisse un dì proprio Ciro Sabatino, direttore
del Festival del Giallo Città di Napoli e presidente di Gialli.it, che su
questa leggenda trae ispirazione per la cena con delitto che si terrà al Club
dei Giallo e dei Delitti di Carta il 7 dicembre 2023 (per info: gialli.itdossiermisteri@gmail.com).
Quanto a Don Gesualdo,
dopo quella notte, sotto consiglio del viceré Juan De Zúñiga e per paura della
vendetta dei Carafa, fuggì nel castello di famiglia ad Irpinia. Il principe fu
processato e subito assolto, sotto ordine dell’amico Viceré. Il caso fu archiviato
giustificando l’accaduto come un “delitto d’onore”: Don Carlo aveva il diritto
di uccidere la donna che aveva disonorato la dignità di suo marito. Un reato
abrogato in Italia
solo agli inizi dell’Ottocento.
Il principe visse con la
sua nuova moglie, Eleonora D’Este, da cui ebbe un figlio che morì a tre anni.
Visse nel tormento dei sensi di colpa e nell’ossessione della solitudine. Si
lasciò lentamente morire d’inedia non appena seppe che suo figlio Emanuele,
nato dal matrimonio con Maria D’Avalos, era morto cadendo da cavallo. Morì nel
1613.
Oggi, Don
Gesualdo è sepolto nella chiesa del Gesù Nuovo. Ma dove è sepolta Maria
D’Avalos?
Nel 1990, uno studio dell’Università di Pisa portò alla riapertura delle tombe
dei due amanti. Furono trovati resti del corpo di Fabrizio Carafa, ma delle sorti del corpo della sua amata ancora rimane
vivo il mistero.
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