Carmine Mari e il suo romanzo catartico, complesso, ipnotico e imperdibile: “Morte sulla Joannis”, Homo Scrivens Edizioni
Di Claudia
Siano
Se avete
voglia di farvi travolgere da una penna importante, di catapultarvi in un mondo
verosimile e di immergervi in un passato di inizio Novecento ricco di
suggestioni personalissime e di ricostruzioni storiche vicine al vero, fatevi
il regalo di scegliere la lettura di Morte sulla Joannis. Si tratta di
un thriller mozzafiato, edito da Homo Scrivens, parte della collana “Gatti neri
e vicoli bui” e scritto e ideato da Carmine Mari, autore salernitano che conta
la pubblicazione di numerosi romanzi. Ho sentito la necessità di aggiungere
“ideato” perché questo romanzo è un film visibile, un set scenografico
tangibile accompagnato da immagini meravigliose inserite tra le pagine che
riescono a rendere la storia più vicina, più reale. Tutti questi aggettivi, per
arrivare a quello più significativo ai miei occhi di lettrice, Morte sulla
Joannis è un libro catartico, in quanto riesce ad immergere chi legge in
uno spazio-tempo altro senza che il lettore abbia il tempo di rendersene conto.
Mi spingerei a definirlo persino ipnotico, già a partire dalla copertina, in
grado di riassumere perfettamente i contrasti di luce del romanzo, i
chiaroscuri dell’anima, ma anche la posizione della figura in copertina
completamente nera, posta in basso al centro e con lo sguardo rivolto verso il
porto, riesce a conferire a chi ha in mano il libro, l’idea del punto di vista
di chi racconterà la storia. La copertina invita il lettore a guardare in prima
persona quello sfondo, quella storia, quel percorso, seguendo i passi di
qualcuno che saprà dove condurlo. Provo a riprodurne un quadro ottico per
rendere giustizia a quanto sto sostenendo. Il narratore è il protagonista
stesso e vive e racconta questa storia in prima persona, si tratta di Edoardo
Scannapieco, un giornalista ma anche un concierge tuttofare all’Hotel
d’Angleterre, si trova improvvisamente convolto nelle indagini di un duplice
omicidio avvenuto sulla nave Joannis. Dimenticavo, l’ambientazione è la Salerno
dell’autore ma in un tempo a lui lontano, è il novembre del 1911, a qualche
anno dalla Prima Guerra Mondiale. Non può mancare in questa struttura la figura
del commissario Merli, «un lombardo di trent’anni», come lo definisce l’autore
«asciutto e spigoloso», un uomo elegante e carismatico. Scannapieco si trova
spesso insieme al commissario dentro il porto e quell’io narrante diventa
spesso noi, comprendendo Merli, un uomo molto diverso dal giornalista, che
infatti lo reputa un po' troppo taciturno e non sempre allegro e di buona
compagnia. Le avventure sulla nave sono accompagnate da descrizioni
dettagliate, animate, dinamiche, vive, e rendono il contorno qualcosa di
imprescindibile per l’arricchimento della storia. Mari non si fa sfuggire
nulla, l’attenzione ai particolari riesce a fare la differenza nel
raggiungimento dell’effetto catartico di cui parlavo prima, è proprio la chiave
per coinvolgere i lettori a vivere attraverso le pagine quella storia. Le morti
e il sangue sono onnipresenti, così come le tracce lasciate sparse per dare la
possibilità a chi legge di ricostruire il colpevole o i colpevoli dei misfatti.
Chi legge non riesce ad anticipare le indagini ma le segue di pari passo, con
gli stessi strumenti che hanno a disposizione i protagonisti, ed è per questo
che lo definirei un giallo perfettamente costruito, che lascia spazio alle
ipotesi ma non alla banalità, bensì alla complessità. Complesso e affascinante
è il modo di scrivere di Mari, complessa è la risoluzione dei casi e delle
relazioni tra essi, complessa è la storia che racconta e le sue dinamiche
interne, complesso è lo scacchiere dei personaggi che l’autore mette in scena.
Tutta questa complessità cela uno studio da parte dell’autore notevole, si
percepisce che conosce i posti di cui scrive, fa riferimento ad episodi
realmente accaduti, ed emerge la conoscenza della storia del Mediterraneo a
inizio Novecento. Rivela nelle note esplicative che regala l’autore alla fine
del libro che i luoghi di cui ha scelto di scrivere incarnano i simboli di un
momento storico, immobile e in movimento, dove la guerra bolliva e anche gli
animi. Un libro enorme, dove Mari oltre a parlare di guerra parla anche di
amore, di quello più difficile, quello impossibile, che ritrovi nei volti delle
mille altre persone che incontri. Mari racconta le sfaccettature di un
incontro, le difficoltà di amare, il percorso dell’innamoramento e temi come la
capacità di saper lasciare andare quando si ama veramente. E non è tutto, ci
sono anche la politica, le armi, la geografia, la storia, la marina militare,
le domande esistenziali, la vita quotidiana, le difficoltà economiche, e a fare
da protagonisti, l’amore con il quale, dalle parole di Carmine Mari, «tutto
acquista un senso» e la morte attraverso cui «ogni cosa si decompone nel
disordine finale». Mari sottolinea l’importanza delle parole nella vita delle
persone, combatte le etichette, invita a lottare, ad aprire gli occhi, lascia
dei messaggi tanto profondi per chi vorrà coglierli. È un libro che non può
essere riassunto in poche parole, è un universo dove il caos regna sovrano,
dove i treni bisogna saperli prendere quando passano quella volta nella vita,
dove l’ordine non può che perdere al cospetto del disordine, dove il cinismo a
un certo punto della vita annebbia tutto, con la paura, che ogni lettore riesce
a sentire insieme a Scannapieco, che «i desideri» facciano «a cazzotti con la
realtà».
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