La Gaiola, maledetta e irresistibile. Terza tappa dei Tour del Giallo Città di Napoli

 


Di Fabio Gaudiosi

Una brezza dolce accarezza i colori del mare, mentre le onde si increspano sotto l’opaca luce del mattino. Osservando la città spuntare dalle misteriose note della notte, mi incanto nella quiete che invade il corpo nell’ammirare il paesaggio che mi si delinea davanti. È una carezza sul viso, che sento riservata a me e me soltanto. Guardo l’acqua, limpida come il sole che riflette, e la sfioro con la punta delle mani. Così gelida, così invitante, così spietata. Il mare di Napoli nasconde misteri, rovine sommerse dall’insaziabile sete del tempo che fugge, trascinando con sé un passato oscuro e leggendario. Dirigo lo sguardo verso l’isolotto dinanzi a me, così vicino, eppure così distante. Terra di eremiti e di stregoni, di ricchezze e di disgrazie, di esoterismo e di maledizioni, la cui storia si annida tutta tra le mura ormai ammuffite di un palazzo senza vita. È l’isola della Gaiola, teatro di un passato dove tragedia e mistero divennero, inesorabilmente, maledizione.

La leggenda dell’isola pianta le proprie radici intorno al 50 a.C., quando nelle sue vicinanze sorse la Scuola di Virgilio, il cui edificio è stato ormai quasi interamente sommerso dalle acque. Si tramanda che qui il poeta insegnasse ai propri allievi le arti magiche e i metodi di preparazione di pozioni e sortilegi: ed è da questo momento che la tradizione fa discendere la maledizione della Gaiola, ritenendo che uno di tali intrugli, versato nel mare, abbia inquinato per sempre la zona, condannando chiunque vi trascorra un tempo di permanenza eccessivamente prolungato. Eppure, fu soltanto negli anni 20 del XIX secolo che questo luogo assunse ancor di più il fascino del mistero, quando venne ad abitarvi un eremita, soprannominato da tutti lo stregone. L’isola rimase così inaccessibile e inospitale, fin quando nel 1874 fu acquistata da Luigi De Negri, che vi costruì la villa che ancora oggi la caratterizza e che rappresenta il simbolo della maledizione. Il nuovo proprietario era infatti un noto uomo d’affari, titolare di una importantissima società di pescicoltura, la cui sede fu trasferita proprio sull’isola; ebbene, di lì a poco, questa ebbe un tracollo finanziario tanto significativo da determinarne il fallimento. Ma fu nel 1926 che si consumò la tragedia più grave, quando Elena Von Parish, ospite dei nuovi proprietari Hans Praun e Otto Grumbach, morì sommersa dalle onde del mare dopo che il filo della teleferica che la riportava all’isola si spezzò: ciò causò un tale senso di rimorso nei due coniugi da condurli al suicidio.

La maledizione continuò a mietere vittime anche 5 anni più tardi, nel 1931, quando la barca di un gruppo di studenti del collegio Ascarelli-Tropeano fu scagliata dalle onde contro lo scoglio della Cavallara. Dopo l’evento, il timore dei napoletani per l’isola crebbe a dismisura, ma ciò non ne impedì l’acquisto da parte di altri facoltosi personaggi; purtroppo per loro però, la fama del luogo si rivelò ancora una volta azzeccata. Intorno agli anni 50 infatti, la villa fu acquistata dal noto Maurice Sandoz, titolare della omonima casa farmaceutica: la maledizione lo colpì a tal punto che in poco tempo questi fu costretto a ritirarsi in una clinica psichiatrica, all’interno della quale si suicidò poiché convinto di essere finito in bancarotta. Fu così che l’isola fu acquistata finalmente da Paul Karl Langheim, che restituì luce ad un luogo ormai oscurato dall’abisso della propria fama, organizzandovi feste e celebrazioni: ma furono proprio le ingenti somme di denaro sperperate in questo modo a portarlo sul lastrico pochi anni più tardi. A sfidare la maledizione ci provò quindi Giovanni Agnelli, il quale vi rinunciò però rapidamente, dopo essere stato colpito in breve tempo da una serie di lutti ravvicinati tra loro. La storia della villa continua ancora nel 1973, quando il figlio di Paul Getty, magnate del petrolio e proprietario della villa, fu rapito dalla ndrangheta e liberato solo dopo un riscatto assai elevato, per giunta anche privo di un orecchio. Infine, l’ultimo a pagare il prezzo della maledizione fu Gianpasquale Grappone, il quale nel 1978 fu condannato dalla giustizia italiana per la gestione del proprio patrimonio, mentre lo stesso giorno la moglie moriva in un incidente automobilistico.

Ormai il mattino è arrivato, ma nonostante il sole splenda con maggiore intensità, guardare quella villa, quell’isola, quello scoglio di terra circondato da un mare avvelenato, mi causa inevitabilmente un brivido. Il pensiero va alle ultime dichiarazioni di Segre, nipote del proprietario della villa che ne ha dato il nome, il senatore Giuseppe Paratore, il quale una sera, spostando un mobile, rinvenne un affresco raffigurante un volto terrificante, probabilmente una Gorgone. Ebbene, spaventato dal ritrovamento, lo fece immediatamente nascondere, cambiandone così l’ubicazione. Il mistero della scoperta fu però risolto soltanto quando gli storici riuscirono a individuarne i caratteri dell’arte romana del secondo secolo dopo Cristo, poiché qui sorgevano molte delle ville che erano edificate in quell’epoca. Ma se le Gorgoni erano dei potenti antidoti contro la sfortuna, modificarne la loro ubicazione si riteneva potesse comportare gravissime conseguenze. E, stando alla tradizione, così fu.

Eppure la villa è ancora lì, così seducente, così misteriosa. Rimango un altro istante a guardarla, ad ammirarne l’eleganza ripensando alla sua storia. Terribile eppure avvincente. Sciagurata eppure affascinante. Maledetta eppure irresistibile. Quanti uomini ha conquistato e quante volte ha fatto pagare il prezzo carissimo della propria bellezza. Così inaccessibile, così inarrivabile. Pronta ad accogliere lo sguardo di chiunque ne rimanga incantato, eppure spietata verso coloro che decidano di sfiorarla. Sarà proprio di queste vicende che tratteremo nei prossimi incontri di sabato 21 e domenica 22 alla Gaiola, insieme a Ciro Sabatino, direttore del Festival del Giallo Città di Napoli e dei Tour del Giallo voluti dall’Assessorato al Turismo del Comune di Napoli e, in particolar modo, dall’assessora Teresa Armato.

 

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