Un muro impenetrabile
di nebbia si innalza dinanzi a me, obbligandomi a interrompere i miei passi
alla ricerca di un muretto al quale appoggiarmi. C’è poco da dire: mi sono
perso. Attorno a me vedo solo lo scheletro di alberi senza più foglie,
illuminati appena dalla fioca luce del lampione a me vicino. Non riesco a
scorgere nient’altro. Faccio per prendere il cellulare dalla tasca, così da
scoprire dove mi trovo aprendo le mappe. Appena accendo il display però, vengo
messo dinanzi ad un’atroce verità: ho il telefono all’un per cento. Impreco
maledicendo la mia sfortuna, cercando nel mentre di aprire il prima possibile
l’apposita applicazione, ma la localizzazione riesce solo a suggerirmi che mi
trovo ai piedi del passo delle streghe, all’interno della Repubblica di
San Marino, prima che lo schermo si spenga, portando con sé tutte le mie
speranze di una facile soluzione del problema. Faccio mente locale,
ripercorrendo l’itinerario da me percorso durante la prima passeggiata per la
città: è passata circa una mezz’ora da quando sono sceso dalla mia camera di
hotel, non posso essermi allontanato troppo. D’altronde il receptionist mi
aveva avvisato: “Faccia attenzione, il tempo oggi sarà inclemente!”, ma la mia
curiosità ancora una volta mal si sposava con la mia imprudenza. Alzo di nuovo
lo sguardo verso l’albero di fianco a me e una goccia d’acqua mi bagna il viso.
Sta iniziando a piovere, le cose si mettono decisamente male. Muovo un passo in
avanti, dicendomi che verso qualche direzione dovrò pure dirigermi, e
improvvisamente un fulmine esplode davanti ai miei occhi, facendomi salire il
cuore in gola. Sento una mano sulla spalla. Mi giro. C’è un anziano accanto a
me, ha lo sguardo torvo, con due occhi profondi che sembrano scrutare l’anima
della persona che ha di fronte. “Lei non dovrebbe essere qui con questo tempo -
mi dice - si preannuncia una burrasca. Venga a casa mia, le offro un thè
nell’attesa che spiova”. Lo ringrazio, seguendolo fino alla porta della sua
villetta, pochi metri più avanti. Ritrovo un po’ di caldo, sedendomi di fianco
al camino acceso. “Lei ha conosciuto un luogo iconico della nostra Repubblica,
un luogo in cui il presente si sposa con il fascino e il mistero del passato.
Sono molte le leggende che si narrano su questo passo, ciascuna è tanto vera
quanto falsa, ma il valore della verità in questo caso è relativo. Qui ruota
tutto intorno alle voci che si sentono mentre lo si attraversa”. Lo guardo
interdetto, chiedendogli di spiegarmi meglio, mentre davanti a noi passa un
gatto nero che si sdraia sotto le gambe del suo padrone. “Ecco, questa storia
potrebbe iniziare proprio dalla mia gatta; nel Medioevo infatti, si riteneva
che i felini di questo colore fossero in realtà streghe che volevano
impossessarsi dei corpi delle fanciulle della città; erano considerati
pericolosissimi, in un’epoca in cui essere accusati di stregoneria era
all’ordine del giorno. Ebbene, si chiederà, cosa c’entra questo luogo? Deve
sapere che la strada che noi oggi conosciamo come il passo delle streghe
fu costruito per una funzione strategica, affinché potesse disporsi di una
maggiore e più accurata comunicazione tra le torri difensive della città,
attraverso un ponte dal quale si otteneva anche una migliore visibilità delle
valli circostanti. Si dà il caso, però, che dal passo vi fosse anche una
prospettiva privilegiata dalla quale ammirare la Luna, ragion per cui si diceva
che qui si incontrassero le streghe per svolgere i loro antichi rituali.
Infatti, una delle leggende racconta che un giorno l’esercito tese un’imboscata
ad alcune di quelle donne, proprio quando stavano nel bel mezzo di un rito: una
di queste, spaventata, finì per buttarsi
giù e c’è chi ancora oggi sente il suo urlo ogni volta che attraversa il ponte.
Ecco perché, come le spiegavo prima, è tutta una questione di voci”. Troppo
affascinato da quella storia, gli chiedo di continuare. Quali altre voci avrei
potuto sentire attraversando quel passo? “Molte altre, questo è sicuro. C’è chi
dice di sentire le voci lamentose dei prigionieri che attraversavano il passo
per giungere alle carceri; e poi c’è chi sente le voci di due innamorati.
Ebbene, se vuole saperlo, questa è la storia che mi ha sempre colpito di più…”.
Lo guardo interrogativo, invitandolo a raccontarmi meglio quella storia a cui
si riferiva. “Come le ho detto prima, si raccontava che quel passo fosse
rifugio di alcune sedute di magia, condotte da malvagie streghe davanti alla
Luna piena. Ebbene, secondo questa ulteriore leggenda, quelli che erano
condannati come spregevoli rituali altro non erano che semplici incontri tra
donne che gioivano alla vita, danzando e cantando melodie nell’attesa che i
propri mariti tornassero nella città. Ma l’invidia e il pregiudizio della
popolazione vedevano di cattivo occhio quei ritrovi, etichettandoli come maledetti
e impedendo ai concittadini di potervi partecipare in alcun modo. Un giorno
però, un giovane uomo troppo curioso si decise a sfidare quei racconti,
avvicinandosi al gruppetto di donne. Lì si imbatté in una ragazza bellissima,
che lo invitò a ballare insieme a lei. Da allora non si separarono mai più,
unendo al Sole delle loro vite la Luna dei loro incontri”. Un rivolo d’acqua
scivola verso il basso dalla palpebra dell’anziano, che prontamente provvede ad
asciugarsi. “È ora di andare, è tornato il bel tempo” mi dice, accompagnandomi
verso la porta d’entrata della casa. Mi accorgo però solo allora che mai avevo
chiesto a quell’uomo chi fosse durante la nostra conversazione. Ed ecco che, come
se avesse già previsto la mia domanda, questi mi anticipa rispondendomi: “Io
sono il custode di questo passo, la sua magia mi tiene vivo. Perché in fondo
l’amore è l’incantesimo più potente che ci sia dell’universo. Ma ora vada,
prima che si faccia troppo tardi. Attraversi il passo e troverà la via per
tornare a casa”. Mentre lo diceva, mi aveva spostato delicatamente fuori la
porta, chiudendola poi rapidamente alle mie spalle. Un po’ disorientato, mi
decido a seguire le sue parole, imboccando la strada del ponte. Compiuti pochi
passi, però, mi accorgo della presenza di un vociare, che sembra provenire da vicino.
Mi giro di scatto, ma alle mie spalle non c’è nessuno. Fermandomi, cerco di
concentrarmi meglio sui suoni che riesco a captare, rendendomi conto che le
voci sembrano due, una maschile e una femminile. Sembrano ridere e scherzare
insieme, creando un’unica splendida melodia. Tuttavia, rimango allibito
nell’accorgermi che una delle due voci, quella maschile, mi risulta familiare.
Dove potevo averla già sentita? Alzo gli occhi verso in cielo, alla ricerca di
ispirazione, e mi accorgo che una grande Luna piena splende limpida in mezzo a
un cielo pieno di stelle. E all’improvviso tutto mi diventa chiaro: la voce è
proprio quella del custode. Riprendo a camminare, con lo sguardo in su verso
quella grande sfera luminosa che illumina la via. È la notte delle streghe. E
degli innamorati.
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