"L'ananas. No" di Cristiano Cavina. Un giallo romagnolo da leggere tutto d'un fiato

 




di Anita Curi

Dal titolo e dalla copertina forse non lo indovinate, ma “L’ananas. No” di Cristiano Cavina, Edizioni Bompiani, non è un banale romanzo da spiaggia. È stata una sorpresa scoprire che si tratta proprio di un buon libro. Non per la questione della trama o del crimine che grava sul racconto, ma per il tratteggio di personaggi credibili che si muovono in un contesto credibile e interagiscono tra loro in maniera credibile. Crudo, ironico, pungente, l’autore affresca il quadro di un tipico borgo romagnolo (qui indicato come Galatea a Mare) e delle anime che lo popolano e di quelle che in passato lo hanno fatto. Per non parlare dell’intima storia del protagonista, Manolo Moretti, che è tutto un programma. Un programma autentico, in cui il migliore o il peggiore degli uomini si può rispecchiare. Raramente forse capita di questi tempi, data l’enorme produzione seriale di genere, di arrivare all’ultima pagina e avere già nostalgia della comunità che ha reso vive le pagine appena lette, poiché ne è rimasto sopraffatto e coinvolto. Qui potrebbe accadere, e a me non capitava da tempo, perché Cavina riesce a guadagnare l’attenzione anche per una caratteristica non scontata: la modalità di scrittura sopra le righe, non omologata, molto personale. E questo di sicuro ha un valore che non si può trascurare.

In questa sede non si fa accenno a riferimenti particolari dell’intreccio narrativo per non cadere nella trappola dello spoiler, però si tiene a precisare che l’epicentro di tutto è dentro e intorno a una pizzeria, il Gradisca, e il pizzaiolo, un ex Soprintendente della Polizia Penitenziaria, si avventura senza nemmeno rendersene conto in una pericolosa indagine, coadiuvato da una squadra di improbabili detective… Ve lo consiglio.


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