Di Claudia Siano
“Nostra
signora dei fulmini” è il secondo romanzo di Giancarlo
Piacci edito da Salani Editore dopo “I santi d’argento”. Una storia intricata,
complessa, un noir che profuma
di saga di avventura, quel che ci propone stavolta l’autore. Trecentoventi
pagine di emozioni che permettono un continuo comporsi di un puzzle di oltre trecento pezzi. Ogni sequenza
rappresenta la tessera di quel rompicapo che è la vita di Vincenzo Cocchiara, personaggio
chiave che combatte con se stesso e contro una società perennemente
problematica. Tante le figure che si alternano nella trama, ma che esse siano
collaterali, centrali o di passaggio, non risulta rilevante poiché ciascuna si
posiziona all’interno di una perfetta catena di montaggio, che va seguita
pagina dopo pagina. L’autore usa un linguaggio vivace, audace, nel tentativo di
superare le convenzioni tradizionali, superare l’impressione e arrivare a un
romanzo dal sapore post-impressionistico, dove colore e forma divengono emblema
di una soggettività in grado di parlare a una pluralità. Non è un libro da
poter leggere con distrazione, richiede attenzione, impegno, intelligenza. Una
storia che stimola la percezione sensibile e sensoriale, non sempre compiacendo
il lettore, sfidandolo invece a non scendere a patti, a saper ragionare con la
propria testa, a rendersi conto che a volte non tutto è come crediamo, che non
sempre la vita è lineare, che bisogna saper convivere con gli ostacoli, e che
spesso non siamo padroni del nostro destino come ci fanno credere da bambini. A
sconvolgere la tranquillità che Vincenzo, a fatica, è riuscito a costruirsi a
Bacoli, saranno due vecchi amici: Giovanni e Bart, evasi dal carcere di
Poggioreale. Eppure, Vincenzo non riesce ad essere più tenace della sua stessa
forza di volontà, quella di cercare di stare lontano da un passato che ormai è
cicatrice coperta seppur sempre esistente. Non si riesce a capire quanto siano
affidabili questi amici-nemici che rovinano la vita del protagonista e allo
stesso tempo la compongono, gli stessi che sarebbero in grado di salvarlo e di
ucciderlo. Nella struttura del libro è centrale la risoluzione di delitti; la
novità è che non si seguono però processi o tracce, non ci sono ricostruzioni
scientifiche, neppure ragionamenti tra ispettori e psicologi. Nulla di tutto
questo emerge nel romanzo di Piacci, dove diviene emblematico il ruolo
dell’assassino, nelle vesti di un personaggio quasi marginale all’interno della
trama; ci si chiede di chi si tratti eppure non è il fulcro del libro. Piacci
scava nelle profonde ragioni e nelle contraddizioni che vivono nell’essere
umano, dà voce alla possibilità di essere deboli, alla normalità per un uomo
come Vincenzo di autodefinirsi «animale», di non piacersi, di non riconoscersi
nell’uomo che sognava di diventare. Eppure, «di quante cose è fatto un uomo»
scrive Francesco Piccolo nel suo romanzo “L’animale che mi porto dentro”, Vincenzo non sa se ama la sua
donna, o almeno non sa che tipo di sentimento sia. Nonostante ciò, Irene
rappresenta casa, rifugio, ma talvolta anche un posto sicuro può essere ragione
di sofferenza. Inoltre, Vincenzo ha un rapporto particolare con la città di
Napoli, non racconta solo le bellezze della città, il suo patrimonio storico e
culturale, non racconta di presepi, di Vesuvio, di odore di sfogliatelle, del
calore delle persone, ma di una delle facce di quella pluriforme medaglia che è
la patria di Pulcinella, quella dei ragazzi che lottano per un futuro migliore.
Tornare a casa dalla mamma non è mai facile quando non ci si sente la ragione
d’orgoglio di colei che ci ha messo al mondo, e Vincenzo mente o omette le
informazioni a sua mamma, perché non vuole essere motivo di preoccupazione,
ancora una volta, ancora lui. Giancarlo Piacci attraversa il peso delle fragili
esistenze che si manifestano attraverso le difficoltà che ciascuno incontra
lungo il proprio cammino, inevitabilmente solo nel proprio destino, in quell’«aritmetica
della solitudine» per come l’autore la definisce all’interno del romanzo.
Inconciliabilità, insoddisfazione, speranza, inesorabilità, combattimento, i
cinque ingredienti di cui dovrete servirvi per iniziare il viaggio all’interno
di un percorso quale “Nostra signora dei fulmini”. Non è escluso che possiate
rimanere fulminati da una scrittura carica di colori e di pathos, in grado di creare quadri post-impressionistici per la
profondità delle riflessioni. Un viaggio dal quale non tornerete gli stessi di
prima.
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