37
anni di mistero per Lidia Macchi, la studentessa di Varese uccisa nel 1987 a 21
anni con 29 coltellate. Scomparsa
il 5 gennaio viene poi trovata morta due giorni dopo in un boschetto a poca
distanza dall’ospedale di Cittiglio, nel Varesotto, dove Lidia va a trovare
un’amica ricoverata. Prima del suo carnefice, pare che sia infatti proprio l’amica
l’ultima a vederla viva. Lidia si trattiene con lei una mezz’ora, poi verso le
20.10 parte alla guida della sua Fiat Panda per tornare a casa. Da quel
momento di lei spariscono le tracce fino al ritrovamento del corpo senza vita.
Dopo quasi quarant’anni ancora non si conosce il nome dell’assassino.
Anita
Curci, direttrice di Gialli.it Dossier Misteri e ideatrice della rubrica
Gialli di Donne/Donne di Gialli, ne discute con Laura Marinaro, giornalista
esperta di casi true crime e che per il settimanale Giallo.
IDENTIKIT DELLA VITTIMA
Laura,
chi era Lidia Macchi?
Lidia era una studentessa universitaria di Varese. Una ragazza molto amata e benvoluta. Faceva parte sia di Gruppo Scout che di Comunione Liberazione, come molti allora, affascinata dalla figura di don Giussani.
Quali
le sue abituali frequentazioni e quali quelle che potremmo, con molte riserve,
definire “sospette”?
Non aveva frequentazioni sospette. Era una ragazza normalissima alla quale piaceva aiutare gli altri.
Si
è scoperto se avesse un legame sentimentale?
Non era fidanzata. Probabilmente flirt, ma niente di importante.
I
rapporti con la famiglia?
Ottimi. faceva parte di una famiglia borghese molto unita. I suoi erano in montagna quei giorni e lei era tornata per stare con gli amici, ma a casa c’era la nonna.
E
con gli amici o con qualcuno in particolare?
No.
Stefano Binda, che dopo decenni venne indagato e poi prosciolto, in realtà lo
conosceva ma non aveva un rapporto stretto.
IL CASO
Cosa
è stato fatto a Lidia Macchi? Com’è morta?
È stata accoltellata 29 volte, prima in auto, nella sua Panda poi finita all’esterno e abbandonata nel bosco di Cittiglio vicino alla vettura parcheggiata.
Parliamo
del ritrovamento del cadavere. Come è avvenuto?
Dopo due giorni dalla scomparsa, il 7 gennaio, il cadavere venne rinvenuto da alcuni amici che la stavano cercando sul ciglio della strada coperto da cartoni.
Lo
stato del corpo a quali conclusioni ha portato gli inquirenti?
Era stata violata sessualmente prima di morire, anche se segni di violenza non ce n’erano. Fu repertato un Dna sull’imene ma con le tecniche di allora fu impossibile estrarre un profilo genetico. Il vetrino fu poi distrutto così come altri reperti, come la borsa, gli stivali. Era stata denudata e poi rivestita con le calze al contrario.
Si
dovrebbe pensare a uno o più responsabili?
Sicuramente uno e il delitto era di matrice sessuale.
Questo
omicidio presenta similitudini con altri casi italiani?
Similitudini
con tanti, ma non mi viene in mente nulla di specifico. Oggi si parla di un
mostro di Milano e della possibilità che questo delitto possa essere legato a
quello della Cattolica, ma in realtà le modalità sono diverse.
LE INDAGINI
Si
è parlato di indagini sbagliate fin dal primo minuto della scoperta. Cosa non
si è fatto all’epoca e si sarebbe potuto fare? E cosa si sarebbe potuto fare
nel tempo?
All’epoca si è fatto quello che si poteva fare. L’ambiente degli Scout e di Cl furono subito attenzionati e fu indagato per decenni il prete don Antonio Costabile. Ovvio che se i reperti non fossero stati distrutti, oggi si potrebbero rianalizzare. Comunque il cadavere quando ci fu l’indagine e il processo a carico di Stefano Binda, poi assolto in via definitiva, venne riesumato. C’erano quattro formazioni pilifere intorno alla zona violata, ma non utili per un’identificazione.
Quali
piste sono state seguite fino a oggi e quanti indagati ci sono stati?
Le piste, dunque: don Costabile, totalmente estraneo. Poi Giuseppe Piccolomo, il cosiddetto killer delle mani mozzate in carcere all’ergastolo per l’omicidio dell’anziana Carla Molinari alla quale troncò la mano, appunto. Lui, secondo le figlie, in casa le minacciava dicendo che avrebbe fatto fare a loro la fine di Lidia Macchi. Effettivamente il cartone con cui era stata coperta corrispondeva a quello della ditta della cameretta che l’uomo aveva comprato alle figlie. Prima di Binda, nel 2012, gli fu chiesto di dare il Dna per la comparazione con i nuovi elementi, ma lui rifiutò.
Come
mai la riapertura delle indagini nel 2013? E a cosa hanno condotto?
La riapertura appunto dovuta alle dichiarazioni delle figlie di Piccolomo che prima non parlavano per paura del padre violento. Le stesse sono certe che il padre avesse anche ucciso la mamma, Marisa Maldera, nel rogo della sua vettura, ma anche in quel caso non è stato possibile condannarlo.
Con
le nuove metodologie di ricerca e a seguito della riesumazione del corpo nel
2016, quali nuove tracce sono state rinvenute?
Solo le formazioni pilifere, purtroppo poco utili per una comparazione.
A
distanza di 37 anni di nuovo in questi mesi si è tornati a parlare
dell’omicidio di Lidia, perché? Sono emersi nuovi dati o nuove opportunità di
indagine?
La tesi del criminologo Posa è quella di un serial killer legato ad altri 15 delitti a Milano. Ma è tutta da verificare e non è facile.
Quanti
processi ci sono stati e a cosa sono serviti?
Il processo c’è stato solo nei confronti di Stefano Binda, arrestato, condannato in primo grado senza una prova e poi assolto definitivamente.
Al
momento, a che punto siamo? In una ennesima fase di stallo o verso la
risoluzione del caso?
In
una fase di stallo. Molto difficile che si risolva se nessuno parla e ha mai
parlato.
IPOTESI
L’assassino
o gli assassini di Lidia Macchi ancora non hanno un nome e un cognome. Ma non
ci sono nemmeno ipotesi?
Resta sempre il dubbio su Piccolomo. Per il resto nulla o poco più.
È
possibile che qualcuno sappia la verità e non si sia mai deciso a parlarne?
Non lo so. Ai tempi parlò l’ex fidanzata di Binda, Patrizia Bianchi, che conosceva Lidia. Ma le sue suggestioni mai sono state provate ed erano solo su Binda.
Cosa
possiamo dire della lettera anonima arrivata ai genitori il giorno del funerale
di Lidia? All’epoca furono fatte molte congetture, col senno
di oggi, in realtà quella lettera cosa rappresenta? Davvero può essere opera
dell’omicida? E perché poi l’avrebbe scritta?
La
lettera è una poesia in realtà. Già da subito fu attenzionata ma senza
riscontri, è stato poi arrestato Binda. Salvo poi scoprire che non solo non
l’aveva scritta lui, ma che un avvocato di Brescia vicino a Cl sa chi ne è
l’autore e per segreto professionale non ne ha parlato. E comunque non è
l’assassino. Era molto suggestiva.
Leggendo
la pista che porta al pluriomicida Giuseppe Piccolomo e approfondendo la sua
storia, la considerazione che possa essere l’assassino di Lidia non è da
ritenere poi così peregrina…
Io
credo che forse è l’ipotesi più concreta. Le cose sono sempre più semplici di
quelle che sembrano e abbiamo visto che spesso gli orchi, i violentatori, sono
vicini a casa delle vittime. Lui era un uomo violento e prevaricatore, non si è
fatto scrupoli ad uccidere probabilmente anche la moglie oltre la Molinari, ma
in Italia non si può essere processati due volte per lo stesso reato.
©
Riproduzione Riservata
Commenti
Posta un commento
Ciao, contattaci scrivendo a redazione@gialli.it