"Gli omicidi dei tarocchi" di Barbara Baraldi. Avvincente, seducente, capace di miscelare sapientemente logica e mistero
Di Fabio Gaudiosi
Una
sottile ombra si allunga su Trieste, estendendo i suoi artigli sulla città. Si
muove furtiva, cercando di passare inosservata. Ma non può riuscirci:
improvvisamente la sua presenza esplode nel boato di rumore, diffondendo il
tanfo che la accompagna. È l’ombra del dolore, della vendetta, della morte.
Barbara
Baraldi torna nelle librerie con il suo nuovo titolo Gli omicidi dei
tarocchi, edito da Giunti (18,90 euro). È un thriller appassionante,
magnetico, che cattura il lettore fin dal suo primo rigo, in cui rapidamente ci
si trova ad avere consumato le pagine, che scorrono leggere grazie a uno stile
narrativo decisamente affascinante. Il romanzo combina dialoghi e descrizioni
in modo sempre bilanciato, non risultando mai pedante o scontato: infatti, la
trama conduce verso destinazioni sempre sorprendenti, creando costantemente nel
lettore un effetto suspense. Insomma, Barbara Baraldi ha presentato un
libro con un’idea forte, dove studio e creatività hanno creato un cocktail
convincente per chiunque voglia lasciarsi trasportare dalla paura.
Nel
romanzo, le due protagoniste, Maia ed Emma Bellini, sorelle allontanate dalla
vita, sonno costrette a collaborare per risolvere le intricate maglie di un
mistero inespugnabile, che inizia a falciare vittime apparentemente scollegate
tra di loro. Un solo elemento accomuna i vari omicidi: il ritrovamento di una
carta di tarocchi in ogni scena del delitto. Le carte sono inconfondibili,
uniche, create e realizzate per un solo mazzo. Che ora però, dovrebbe non
esistere più.
Molti
sono gli spunti che emergono dal romanzo, dove diversi elementi si intrecciano
per alimentare il mistero. In tal senso, bisogna senz’altro evidenziare il
ruolo che i tarocchi assumono nella trama, con la loro natura ambivalente,
impenetrabile a occhio superficiale, apparentemente svianti, eppure così chiari
a chi ne percepisce i messaggi. Nel libro si propone un’immagine delle carte
molto diversa dalla cultura di massa, che si ferma al mero pregiudizio che le
accompagna; si pone un maggiore accento sulla loro reale funzione, che non è
tanto quella di predire il futuro, ma piuttosto di leggere l’intima connessione
che lega la propria anima alla realtà, aprendosi così al dialogo con sé stessi.
Le carte insegnano, paradossalmente, che il futuro non è l’imprevedibile
scontro con il destino, ma l’armonica melodia che risuona già dentro di noi:
anche l’Arcano senza Nome, quello raffigurante lo scheletro con la falce, non
significa affatto l’incombere della morte, che stronca ogni futuro, ma la
premessa di una nuova vita, una volta superato il proprio passato.
Una
lettura è inevitabilmente simbolica. Le carte ci aiutano a comprendere meglio
la situazione che stiamo vivendo e le energie in movimento, a elaborare le
nostre emozioni. Suggeriscono degli scenari possibili, ma l’interpretazione
spetta a noi e, per quanto possa sembrarti insolito, non è univoca.
Un
ulteriore elemento che colpisce è Trieste, che, con la sua atmosfera, penetra
timida tra le righe del romanzo. Trieste è una città educata, affascinante,
poliedrica, eppure viene scossa da un’ondata di omicidi, che ne minano
quell’immagine iniziale di apparente opacità. È proprio nell’imperfezione,
nella crepa che si squarcia nel corso della trama, che risalta sempre di più la
sua effervescenza, quella luccicante vocazione alla vita, che la città regala
ai suoi lettori. L’apertura al mare e la bellezza delle vie rendono Trieste non
la secondaria ambientazione del romanzo, ma piuttosto una splendida cartolina
in cui i personaggi prendono vita.
Raggiunge
la finestra, si sporge leggermente per guardare fuori. Lo sguardo scavalca i
tetti dei palazzi e raggiunge il mare, dove si estende l’affusolata sagoma in
pietra del Molo Audace. Il cielo azzurro è costellato da piccole nuvole, e per
un attimo le sembra di percepire la brezza che le muove. «La vista è
incantevole» le sfugge dalle labbra.
Eppure,
sono sicuramente i protagonisti a colpire di più all’interno del romanzo.
Barbara Baraldi restituisce personaggi immaginati nei dettagli, che si ha la
sensazione di conoscere per davvero nel corso della storia. Se da un lato Maia
ed Emma Bellini conducono il libro da protagoniste, riuscendo a riscoprire il
loro rapporto dopo che per anni erano state sorelle solo sulla carta, anche gli
altri personaggi, da Antonia a Ricardo, riescono a trovare tutti gli spazi
necessari per poter emergere e raccontare la loro storia. Il segreto
dell’autrice è quello di creare appunto relazioni nuove, mettendo in contatto i
protagonisti affinché si scoprano (o si riscoprano) reciprocamente nel corso
della trama, lasciando che tutti i caratteri nascosti o velati siano a mano a
mano rivelati al lettore.
Si
guardano intensamente come per superare una barriera invisibile, eretta un
mattone alla volta, per anni, dalle incomprensioni e dall’orgoglio. Poi
l’imbarazzo si dissolve e finalmente si abbracciano. Restano così, immobili,
l’una tra le braccia dell’altra, senza bisogno di aggiungere altre parole.
Insomma, nel libro Gli omicidi dei tarocchi una trama avvincente conduce il lettore alla scoperta di un mistero impenetrabile, costruito su un filo che lega passato e futuro, in cui la morte bussa alla porta fino ad avvicinarsi all’orecchio dei protagonisti, sussurrando rumorosa la vendetta delle carte.
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