“La lista di Socrate” di Simone Cozzi, Giuseppe de Nicola Editore, un romanzo che tocca le corde più delicate dell’esistenza
Di Claudia Siano
Esiste un tempo per la sofferenza e
uno per l’accettazione, così riassumerei il romanzo fresco di stampa La lista di Socrate di Simone Cozzi, per
Giuseppe de Nicola Editore, in una sola frase. Cozzi è un autore milanese, e
questo è il suo quinto romanzo. Il battesimo del libro è avvenuto proprio
qualche settimana fa al Campania Libri Festival. Un’indagine è al centro
dell’intrico, un uomo, un poliziotto dalle tendenze politiche estreme è morto
in circostanze misteriose. Il delegato Vittorio Ripamonti è a capo di un caso
complesso, è circondato da una squadra di uomini suscettibili tra loro, tra cui
Bagalà e Fusetti, il compagno di Giulia Valsecchi e un rigido legionario della
Milizia assegnatogli dalla Prefettura di Como, di nome Camplone, per vigilare
sul suo operato. Non importa il carattere di quel ragazzo ormai morto, né
tantomeno il suo temperamento. L’unica cosa che conta è che si tratta di una
persona, di un lavoratore, di un giovane, ucciso in modo violento. «Un
individuo non appartiene mai solo a sé stesso», ogni omicidio apre un’enorme
smagliatura in un tessuto di relazioni, spiega l’autore, «è un’amputazione
sociale» dice il delegato Ripamonti nel romanzo. Due sono le perdite umane di
questa storia: la prima è quella di Socrate Valsecchi, il padre di Giulia, che
muore per una condizione dettata dalla vita e sceglie di mettere fine alle sue
sofferenze, la seconda è un’esistenza tagliata dalla scelta di qualcun altro,
quella del poliziotto deceduto per mano altrui, questo è sicuramente uno dei
tanti legami tra le due anime strappate al mondo di questa vicenda. Tornando a
Giulia, la figlia di Socrate, è una ragazza sensibile, timida, ammirevole e
molto stimata dalle persone che la conoscono. La Valsecchi ha perso il padre,
ha accettato di perderlo, quando lui ha scelto che voleva smettere di soffrire,
lei lo ha compreso e gli ha fatto un grande regalo, comprenderlo. Valsecchi è
l’uomo che conferisce il titolo al libro, che non ha scelto di morire perché
non amava la vita, ma perché la amava troppo. Abissi profondi e corridoi bui
dell’animo umano aleggiano tra le quasi trecento pagine del romanzo. Si parla
di antipatie sul luogo di lavoro, di difficoltà quotidiane, di fiducia e di
affidamento, di fine vita e di vita stessa.
La scrittura di Cozzi è penetrante,
immersiva, riflessiva, bisogna solo essere pronti a farsi travolgere da una
tessitura perfettamente costruita in ogni sua cucitura. Non ne uscirete uguali,
ma sicuramente migliorati da questo libro. Il caso al centro della vicenda è
uno dei tanti fili conduttori di questa storia, è solo la finestra da cui ho
scelto di entrare, che apre una serie di percorsi da approfondire. Al punto
che, dal mio punto di vista, andrebbe riletto più volte, per poter seguire
tutte le varie strade che l’autore ha concepito e percorso nella creazione di
questo romanzo. Ed è per questo che spero di riuscire a coprire buona parte
delle sfumature del libro, ma temo sia impossibile ad una prima lettura. È un
romanzo autentico, arriva dritto al cuore, e permette di scavare in sé stessi,
di trovare, non tanto le proprie risposte ma, quantomeno, le proprie domande.
L’autore non racconta ogni dettaglio dei numerosi personaggi che crea, è questo
lo sforzo cognitivo che richiede al lettore, di essere in grado di collegare,
di essere vero e sincero mentre sfoglia le pagine, perché ognuna di esse ha un
peso specifico. Ho avuto l’impressione quasi di firmare un patto di fiducia con
l’autore mentre leggevo questo libro, come se mi avesse consegnato dei pensieri
così preziosi e una storia così densa di dolore e maturità da doverne fare
tesoro a tutti i costi, da doverne dare l’attenzione che merita, da
interrogarmi anche io su quei punti così dolorosi e così vivi di cui Cozzi ha
deciso di parlare. Non è un libro da intrattenimento, è un romanzo che richiede
impegno, attenzione, empatia e apertura profonda. Ma vi assicuro vi ripagherà
del tempo che investirete. E poi c’è la guerra, a fare da sfondo, insieme alla
sofferenza di coloro che assistono al dolore della perdita inesorabile della
vita di un genitore, di un amico. Quella vita che scorre, che passa davanti
agli occhi, nella routine di quel lavoro che rende le giornate tutte uguali,
non sempre al passo con le aspettative, in cui neanche ci si accorge delle cose
importanti, in quel tempo limitato che ci è concesso.
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