“Niente è lasciato al caso per il Questore De Francesco” di Gaetano Panariello, Giuseppe de Nicola Editore. Libertà e giustizia. Le due parole chiave per descrivere il romanzo

 


Di Alessandra Sigillo

Libertà e giustizia. Le due parole chiave per descrivere il romanzo Niente è lasciato al caso per il Questore De Francesco di Gaetano Panariello (Giuseppe de Nicola Editore), che ci accompagna nel viaggio interiore di un personaggio realmente esistito, a cavallo fra la fine dell’Ottocento e i primi cinquant’anni del Novecento. Il nostro questore, un uomo duro, spigoloso, nel contempo pieno di umanità, si ritrova a fare i conti con il concetto di giustizia e di conseguenza di libertà di scelta.

Cosa siamo disposti a fare per ciò in cui crediamo? E soprattutto il senso di giustizia può non essere solo oggettivo, ma anche interpretabile? Queste sono le domande che il questore si pone nel corso di questo suo viaggio interiore.

In tutto il romanzo, che si basa su una scrittura intimistica, il questore, invece di vivere serenamente la propria vecchia, si ritrova di fronte a inquietudini e rimpianti. Allora, dietro invito della moglie, che decide di affidargli un compito di scrittura, con la sua fedele macchina per scrivere Remington, ripercorre i casi che hanno scatenato in lui dubbi e domande in un periodo storico non facile.

Scopriamo perciò casi giudiziari del passato di nuovo sotto la lente dell’anziano magistrato; spesso ci troviamo davanti omicidi perpetrati per imporre un’idea, in un’Italia in cui la parola “obbedire” avrebbe lasciato man mano poco spazio alla libertà. Ogni caso rappresenta una sfida unica e il questore ci apre le porte non solo della sua vita lavorativa, ma anche della sua vita intima rappresentata da una moglie estremamente fedele che diviene sua complice e porto sicuro con cui confidarsi.

Rosa lo sprona a scrivere non solo per sottrarlo alla noia, soprattutto perché nessuno come lui può conoscere il vero lavoro che si cela dietro ad ogni singolo fatto di cronaca. Molto spesso le persone sono incuriosite esclusivamente dalla soluzione del caso, mentre il nostro questore ci racconta i dettagli, i pensieri, le riflessioni attorno a circostanze insospettabili che vanno ben oltre la loro banale conclusione. A tal proposito è interessante come alla fine di ogni risoluzione ci sia un breve resoconto personale, postumo ai fatti e su cui egli ancora si interroga, chiedendosi se avesse potuto far di meglio.

Il vecchio questore si racconta in queste pagine senza paura, e se necessario decide di tornare a indagare anche su questioni pericolose. “Ma nulla, nemmeno la minaccia di ripercussioni politiche o eventuali conseguenze più gravi, fece vacillare la determinazione di Don Fulvio”. E anche “era persona gioiosa e allegra, ma, quando si toccava la sua professione, era un uomo tutto di un pezzo”.

Poiché il suo intuito gli permette di andare oltre la superficie delle cose e, per l’appunto, “nulla è lasciato al caso”.

Un personaggio per certi versi moderno, capace di mettersi continuamente in discussione, virtù di pochi; ed è per questo che nella sua semplicità è da ritenere un uomo di eccezionale intelligenza.

Il questore (e di conseguenza l’autore) ci lascia con una considerazione amara e fiduciosa allo stesso tempo: si potrà raccontare una fase diversa dei tempi che verranno “quando l’idea di libertà avrà un sapore più dolce”.

 

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