“Emerson Ray - Leviathan” di Denise Jane, una bella storia, sempre sul filo di una densa tensione. Segretissimo – Il Giallo Mondadori

 





di Vito Rosario Ferrone

Il periodo d’oro dello spionaggio e delle spie è certamente quello legato alla Guerra Fredda. Ovviamente si è sempre spiato, fin dai tempi di Mosè e dell’impegnativa traversata del deserto del popolo eletto. Con Giosuè e, ricordiamolo, anche Aronne a fare gli spioni a Gerico. Per non dire di Kipling che nel suo libro “Kim”, almeno un centinaio di anni fa, definì lo spionaggio, consacrandolo, il Grande gioco. E, per venire a tempi più recenti e prossimi al periodo post-bellico, non c’è stato progetto segreto più spiato del progetto Manhattan.

Ma certamente durante la Guerra Fredda, proprio perché guerra e proprio perché fredda, il conflitto fra gli spioni di professione ha avuto la sua definitiva consacrazione anche perché è stato lungo, duro e cruento, quanto basta. Probabilmente con un vincitore, sebbene ai punti, cioè l’URSS. O forse due. Quoterei anche la DDR.

Kgb e Stasi sono stati nemici formidabili dell’Europa liberata, e libera.

Anche se nei Segretissimo, la bella collana di Mondadori interamente dedicata allo spionaggio, vincevano praticamente sempre i buoni, se posso dire così, in particolare gli inglesi.

Forse era quello un modo per fare propaganda, per affermare la superiorità della parte democratica dell’Europa rispetto a quella totalitaria. Di preciso non saprei, e ovviamente non so se questo sia il motivo, per il quale a me quelle storie risultavano un poco parziali, distortamente partigiane e, a mio parere, con troppi super eroi. Per cui, e ne sono ancora contento, mi sono buttato su un’altra prestigiosa collana della Mondadori, quella del Giallo. Una goduria e un divertimento. Basterebbe soltanto l’esistenza di quella collana per essere grati in eterno alla Mondadori editore. Niente segreti, spie e spioni ma tutto il resto assolutamente sì: da Charlie Chan a Perry Mason, da Nero Wolfe a Ellery Queen, da Edgar Allan Poe a Ed McBain…

Tutto questo fino a qualche tempo fa, poco tempo fa, quando ho avuto la ventura e la gioia di incontrare un’autrice preparata, brava e appassionata che mi ha riconciliato, la sua parte, con Segretissimo. Sto parlando di Denise Antonietti, in arte Denise Jane.

Denise sa di cosa scrivere, e lo sa dire.

Ha costruito con il suo ultimo romanzo Leviathan, una bella storia, sempre sul filo di una tensione a volte evidente, altre percepita ma non per questo meno densa.

Una storia che affronta con competenza e nella concretezza temi impegnativi e complessi, sui quali si erge quello maledetto dei rifiuti.

Confesso. In un mio libro ne avevo parlato a latere dell’inchiesta del mio commissario Lombino e questa inaspettata comune sensibilità ha reso il libro di Denise ancora più godibile, anche perché lei ha saputo dire e scrivere meglio di quanto abbia fatto io.

Poiché non amo come si dice adesso spoilerare, ma mi interessa la storia e la sua evoluzione, la scrittura, la definizione dei personaggi, la loro credibilità e prima ancora la sostenibilità del racconto, dico, da appassionato di serie su Netflix, e non solo su Netflix, che leggendo Leviathan mi sono sentito nella stessa condizione psicologica e di attenzione e di interesse. Di quando seguo una serie. Mi sembrava, così era, di rivivere le intense emozioni di The agency o di Lioness ma, e non è poco, con in più una passione civile sincera, interessata e credibile. Passione civile dell’autrice, of course.

La scrittura è moderna, essenziale ma non superficiale e l’attenzione per i particolari mi ha ricordato Hemingway in Addio alle armi: per esempio quando Denise non rinuncia al dettaglio di un lembo di giacca utilizzato per non lasciare impronte sulla maniglia di una porta. È la stessa attenzione di Ernest quando scrive dell’onda d’urto di una bomba, lontana eppure, ancora in grado di provocare un leggero svolazzo delle tendine della camera dei due tenenti. Sé stesso, impegnato sulle ambulanze durante la Grande guerra e gravemente ferito a Fossalta, e del sodale e amico, Rinaldi.

I personaggi nelle loro debolezze, nelle loro convinzioni, nel loro coraggio e nel loro agire, sono tutti condividibili e apprezzabili così come definiti e costruiti dall’autrice: niente super eroi da Guerra Fredda ma gente spietata e generosa, meschina e coraggiosa, preparata alla bisogna eppure con le proprie contraddizioni e fragilità, cinica e visionaria o semplicemente onesta. Una gran carrellata di personaggi tra i quali mi piace ricordare, perché spicca su tutti, e diversamente credo non potesse essere, Emerson Ray “l’uomo con la miccia più corta del pianeta”.

E non sto qui a raccontarvi della grande competenza di Denise per le armi e gli esplosivi e l’ingegneria navale nonché della sua preparazione puntigliosa da documenti ufficiali, in particolare quelli relativi al traffico illegale dei rifiuti.

Aggiungo che la storia presenta piani di narrazione differenti e di diversa intensità letteraria che, come le tessere di un puzzle, nel divenire del racconto si incastrano alla perfezione fra loro contribuendo a dare un quadro vieppiù complesso e disvelato di una trama che avvince e convince. Commovente l’epilogo.

La conclusione è di quelle semplici: leggetelo, punto. Non vi deluderà.

Parola di boy-scout.

 

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