Di Cristina Biolcati
Immaginate di essere una giovane fanciulla
di nobile famiglia, nella Napoli del 1840. Tornate a casa dopo anni trascorsi
in un educandato per signorine facoltose, al fine di ricevere una degna
educazione, per poi scoprire che il peggio non è passato. Anzi, i vostri
genitori hanno in serbo per voi un matrimonio combinato con chicchessia, per quanto
un buon partito. Voi però avete fame di libertà e di avventura, desiderate sperimentare
cosa ci sia nel mondo là fuori. E così trovate un espediente, complice una
vostra cugina. Vi travestite da uomo! Solo che in quei panni maschili vi
trovate talmente bene, che vi spariscono pure quei brutti sfoghi sul viso, che
oggigiorno diremmo causa di un “disturbo psicologico di somatizzazione”, mentre
invece nell’Ottocento discriminavano le persone in qualità di “mostri”.
Tutto però ha un prezzo. Mentre ve ne
andate a zonzo per la città, vi capita di scoprire non uno, ma due omicidi
efferati. Anche indagare è nel vostro DNA, altra cosa che una volta non c’era.
Ma questo è il senso, ci siamo capiti. E inoltre, con la possibilità di
interagire con un agente di polizia che cattura da subito il vostro interesse. Affinché
l’utile si unisca al dilettevole.
Cosa fareste voi non lo so, ma so come
l’autrice ha sviluppato la storia. Perché questa, a grandi linee, è la trama di
un romanzo davvero intrigante: Il senso
comune di Adriana Capogrosso. Pubblicato nel dicembre 2024 da Homo
Scrivens, nella collana dedicata alla narrativa di giallo e noir curata dalla
bravissima Serena Venditto. E lo dico con cognizione di causa, avendo avuto
modo di leggere il suo ultimo lavoro per Mondadori, Sette vite come i libri, recensito proprio tempo fa qui, su
Gialli.it.
Un giallo storico, dicevamo, questo di
Adriana Capogrosso, in cui si evince una grande attenzione per i dettagli
dell’epoca e uno studio approfondito di una Napoli protagonista alla stessa
stregua dei personaggi. Che entra in un periodo critico, reduce da avvenimenti
importanti. Un momento temporale forse poco trattato in letteratura, che
rappresenta un valore aggiunto nel romanzo.
La copertina riprende fedelmente la scena
del delitto, ovvero quella che la baronessina Carolina de Marinis si trova
davanti, nei suoi panni maschili di Nando, il nome che ha assunto per
nascondere la vera identità. Una visione cruenta, dove c’è molto spargimento di
sangue. Riversa a terra nel suo salotto sta la baronessa d’Aquino, mentre poco
distante verrà individuata anche la di lei figlia. Una ragazza per nulla
avvenente, ma in grado di esprimersi attraverso una vocalità canora sublime. E
questo non è uno spoiler, badate bene, perché da subito si apprende che
l’omicidio in cui si trova coinvolta Carolina sia in realtà duplice. Cos’è accaduto veramente a
quelle due cristiane? Difficile prevedere. Basti pensare che Carolina si
troverà ad affiancare nientemeno che Alfredo Vitagliano, agente di polizia dal
passato travagliato (qui non dico altro, perché sarebbe spoiler!), assorbendone
a poco a poco il fascino.
Brillante è la risoluzione del caso, così
come sorprendenti sono gli espedienti a cui si è appellata l’autrice. “Niente è
come sembra”, diventa un vero e proprio mantra. Il ritmo incalzante, poi, fa il
resto. Le situazioni intrattengono il lettore in modo molto piacevole, così
come i dialoghi. Questi ultimi, pur essendo inseriti in una prosa ricercata in
linea col periodo storico, si rivelano credibili ed efficaci. Ricorrere al vernacolo,
da parte di alcuni soggetti minori, strappa più di qualche risata.
Un romanzo originale e consigliato, che ho
pensato di raccontare in modo un po’ frizzante.
Avendo visto un filmato in rete, dove l’autrice presentava il suo libro, mi è sembrata
un tipo estroverso e fuori dai soliti schemi. Magari sbaglio, ma ho pensato che
avrebbe apprezzato.
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