“Le sorgenti della Moldava” di Petra Klabouchová, Le Assassine Edizioni. Crime e storia questa volta hanno fatto centro. Leggetelo, ne vale la pena

 

Di Vito Rosario Ferrone

Non è semplice recensire con compiutezza e pieno discernimento Le sorgenti della Moldava dell’autrice della Cechia del Sud, Petra Klabouchová, pubblicato nella collana “Oltreconfine” delle Edizioni “Le Assassine” e tradotto da Raffaella Belletti. Perché non è soltanto un buonissimo giallo ambientato agli inizi del 2000 in una tormentata terra di confine, ma soprattutto perché è un libro che racconta di segreti, delitti e odi atavici; perché è un libro articolato e complesso nel suo svelarsi e con una moltitudine di personaggi assolutamente ben delineati e descritti, credibili nella loro multiforme diversità di caratteri, emotività, sensibilità e vissuto. Uniti e distanti, nel presente e nel passato.

Siamo in Selva Boema, terra di montagne e foreste al confine tra la Repubblica Ceca e la Germania. A Františkov, un paese con quattro case e poco altro, viene trovato nella neve alta il cadavere di una bambina, scalza e con un pigiama in uso nei campi di concentramento nazisti, cioè un pigiama a righe con la stella gialla sulla giacca. Il ritrovamento avviene nel Giorno della Memoria.

Si tratta evidentemente di un caso destinato a deflagrare nell’intera Cechia. E così sarà. Polizia e autorità locali, abitanti della regione, media nazionali e Polizia di Stato, tutti, saranno coinvolti in un’indagine che appare da subito difficile, ai limiti dell’incomprensibile.

Per prima cosa è veramente complicato spiegare come la ragazzina, che ovviamente tutti conoscono, possa essere arrivata da sola fin dove poi è stata trovata cadavere. Pare quasi essere stata calata dal cielo. O venuta fuori dalle viscere della terra.

Dopo di che, durante l’indagine, spasmodica, inquieta e incerta nel suo procedere, in un intreccio che è memoria e istanza, viene prepotentemente fuori il passato di quella terra: un campo di concentramento per prigionieri russi scavato sotto la selva; un tunnel che avrebbe permesso di nascondere tesori inestimabili come la Camera d’Ambra sottratta al Palazzo di Caterina di Russia; “passatori” che riuscivano a mettere in salvo gente che scappava dal potere dei Soviet…

Cioè, nella sapiente costruzione di questo giallo intrigante e appassionato, con interrogatori, descrizioni, avvenimenti, che spaziano dalla notte in cui viene scoperto il cadavere della ragazzina, a mesi o anni prima o a settimane dopo; da ore che precedono ovvero seguono il giorno che sembra finalmente quello decisivo, e poi magari non lo è, a un epilogo che si aggrappa con ostinazione a una speranza dubbia, il passato è presente e il presente rivive il passato.

Passato e presente. Il tempo, quindi.

Che però non è soltanto abile strategia per il legittimo fine di tenere il lettore incollato alle parole e alle pagine di un libro bello e denso, ma è qualcosa di più. Di molto di più. Perché è nel tempo e con il tempo che bisogna fare i conti e nel tempo e con il tempo cercare di capire le ragioni, ammesso che ci siano, e non ce ne sono, di una ferocia e di una tragedia, che non ha conosciuto e non conosce limiti. Che non conoscerà giustizia ma, forse, solo vendetta.

Tempo che al contempo si fa spazio.

Il tempo, difatti, si snoda, con discontinua e organica successione, in un’intesa piena e complice con la Šumava, la selva Boema nella Cechia del Sud. Una selva incolpevole levatrice e severa custode di sorti terribili, che l’autrice rende con compiutezza e ardore nella sua selvaggia maestosità. È la vera protagonista del libro. La selva, non l’autrice.

Tanto che a un certo punto, sembra quasi che le persone siano i luoghi e i luoghi le persone. Con la differenza che i primi, i luoghi, hanno una struggente bellezza nel loro affermarsi, a volte crudele, mentre i secondi, le persone, sebbene vivide e vive, sono abbrutite e vinte.

Il tutto descritto da una prosa che fa della scrittura il motivo continuo e dominante di una tensione palpabile e calda. Stai sempre con il timore, la certezza, la speranza che qualcosa accada. E accadrà.

A parte l’accorto finale di capitoli che, come sospesi, con accurata nonchalance rimandano ad altro, a un altro capitolo, che non è necessariamente il successivo, è la scrittura in sé a creare e alimentare il fascino di una storia che non vorresti mai lasciare.

Il numero direi quasi sproporzionato di pagine non scoraggia ma invoglia, incita ad andare avanti. Perché non è mai finita, anche quando lo è. O siamo sicuri che lo sia. Perché è tutto chiaro e risolto. Cosa mai altro potrebbe o dovrebbe esserci, ci si chiede con convinta retorica e la consapevolezza di sbagliare.

Basta così.

Concludendo, mi piace pensare che Le sorgenti della Moldava si rifà alla grande letteratura della vecchia e cara e colta Mitteleuropa. Per la grandiosità dell’affresco narrato, per la moltitudine di personaggi che ti sembra conoscere da sempre, per la complessità credibile dei fatti, per le emozioni che ti inseguono, e ti afferrano.

Leggetelo, ne vale la pena. Crime e storia questa volta hanno fatto centro.

 

® Riproduzione Riservata

 

Commenti