“Giurato numero 2”, il legal thriller di Clint Eastwood

 


Di Erika Cervone

Clint Eastwood, torna sulla scia di “Richard Jewell” (2019) con il film “Giurato numero 2” (2024), opera acclamata sia dalla critica che dal pubblico.

La prima inquadratura si sofferma su una statua di una donna bendata che sorregge una bilancia, simbolo di equità. Si tratta di Themis, la dea della giustizia, situata all'esterno del tribunale dello Stato federale della Georgia. Eastwood ricorrerà spesso a quest'inquadratura per far comprendere allo spettatore quanto siano in realtà fragili le certezze che appaiono solide. È esattamente quello che accade a Justin Kemp (interpretato da Nicholas Hoult), un uomo profondamente innamorato di sua moglie, in dolce attesa, a cui la vita ha dato una seconda possibilità. Tutto sembra procedere per il meglio nonostante il bagaglio che si trascina dietro. Kemp ha, infatti, un passato da alcolista e il dischetto che porta sempre con sé, è il simbolo che tutti possono cambiare. Justin Kemp non è più l'uomo di una volta e questo lo spettatore lo comprende sin dalle prime battute. Il protagonista è un uomo affidabile ed integro. Ma come accade spesso, il passato sa essere beffardo.

In attesa del nascituro, Justin Kemp entra a far parte di una giuria per un processo per omicidio che ha tutte le potenzialità per concludersi in fretta. Sin dalle prime indagini, il sospettato è uno solo, il colpevole perfetto: James Sythe, il fidanzato di Kendall Carter, la vittima.  il 25 ottobre, Sythe, ex membro di una gang di quartiere, dal passato turbolento, dopo una violenta lite con la sua fidanzata, avvenuta in un locale molto frequentato, l'avrebbe seguita fuori, prima a piedi, e poi con l’auto e l'avrebbe investita. Per il pubblico ministero non ci sono dubbi, solo certezze. Eastwood riduce il processo all'essenziale: l’accaduto, due testimonianze, l'arringa finale della difesa e quella dell'accusa. La dea bendata non si lascia influenzare da giudizi esterni, è simbolo di ponderatezza. Al contrario, il PB non è interessata alla verità. Faith Killebrew (interpretata da Toni Collette), in piena campagna elettorale per il ruolo di procuratrice distrettuale, ha perso di vista i suoi principi morali. Bendati sono anche i giurati a cui interessa concludere velocemente il processo per tornare dalle proprie famiglie. Justin Kemp sembra essere l'unico interessato alla verità, forse perché lui, la verità la sa già. Sin dalla prima esposizione dei fatti, Kemp, così come lo spettatore, comprende subito che il vero colpevole non è seduto al banco degli imputati bensì a quello dei giurati. Quella tragica notte di un anno prima, anche lui era in quel bar, ha assistito alla fatidica lite, poi, sotto una pioggia torrenziale, ha guidato per qualche miglio prima dello schianto. Quando comprende di non aver investito un cervo, come creduto sino a quel momento, per Kemp inizia un vero e proprio dilemma morale tra ciò che è giusto e ciò che è necessario fare. Clint Eastwood pone lo spettatore di fronte al fatto compiuto, difatti, il film non mira all’indagine in sé ma vuole insinuare in chi guarda la misura del dubbio, la sottile linea che punta a scalfire ogni più labile certezza. Justin Kemp non rappresenta il modello che l’immaginario collettivo definisce un assassino; al contrario, James Sythe segue totalmente quei canoni. C'è una continua oscillazione tra trasparenza e oscurità. Justin Kemp è un perfetto antieroe, un uomo diverso da ciò che era, propenso ad un nuovo inizio ma tormentato dal passato che continua a inseguirlo. Un omicidio gravita sulla sua vita e sul suo futuro di padre e di questo Kemp ne è consapevole. Il dialogo tra il protagonista e Faith Killebrew è il fulcro del film e in quanto tale non poteva che avvenire proprio davanti la dea bendata, costretta a sorreggere una bilancia ormai traballante.

Con un finale aperto, Eastwood pone lo spettatore dinnanzi ad un dilemma morale: se è vero che non sempre verità e giustizia coincidono, quand’è che la giustizia supera la verità?


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