Di Cristina Biolcati
Quando ci si affeziona a determinati
personaggi, di cui esiste fortunatamente una serie, è prassi consolidata nel
lettore sperare in una nuova uscita. Ebbene, Serena Venditto ha esaudito il
desiderio, dando alle stampe il suo ultimo romanzo dal titolo Sette vite come i libri, pubblicato da
Mondadori nel gennaio 2025. Come dice il sottotitolo, è questa un’indagine per quattro coinquilini e un gatto,
una formula molto apprezzata di gialli leggeri e ironici con protagonisti il
gatto Mycroft e i quattro compagni di appartamento di via Atri 36 a Napoli.
Dopo Aria
di neve (2018), L’ultima mano di
burraco (2019), Grand Hotel (2021)
e Commedia gialla con gatto nero (2023),
tutti editi da Mondadori, in Sette vite
come i libri troviamo la vulcanica Malù in un momento di buio. Archeologa
con la passione per i gialli, e per il caffè, l’arguta investigatrice
dilettante dei romanzi di Serena Venditto è rimasta disoccupata. L’università
per cui stava facendo un dottorato non ha fondi, quindi lei si deve trovare un’altra
occupazione. Con l’aiuto dei suoi coinquilini, – la traduttrice di libri brutti
Ariel, il pianista giapponese sgrammaticato Kobe, il fidanzato automunito di
Ariel di nome Samuel – Malù riesce a trovare un impiego in una libreria, una
sorta di sostituzione per maternità della proprietaria. La Second Chance però
non è un negozio qualsiasi, qui i libri hanno un’anima. Sono volumi usati con
alle spalle un vissuto, a cui si danno altre opportunità. Un nuovo inizio, con
persone diverse e in case diverse. Quante vite può avere un libro? Una, due,
tre. Magari sette, come i gatti. Felini che sono molto amati dai personaggi che
ruotano attorno alla storia, nessuno escluso. Una considerazione che si evince
essere radicata anche nell’autrice, poiché si tende a portare sulla carta quelle
che sono le proprie passioni. A mano a mano che ci si inoltra nella vicenda, si
scopre l’importanza delle citazioni letterarie, il piacere di trovare giochi di
parole nascosti tra le righe, accenni di personaggi e trame letterarie
attinenti con l’indagine, soprattutto di romanzi classici. Un esempio su tutti:
Mycroft è il nome del fratello di Sherlock Holmes, nei racconti di Arthur Conan
Doyle. Niente è lasciato al caso, nemmeno per quel felino nero dagli occhi
verdi, che vuole sempre dire la sua «Meow» o «Meeeeooowww», ma con tonalità
diverse e a seconda delle circostanze.
Ebbene, un giorno alla nuova libraia
capita tra le mani una vecchia edizione de La
donna in bianco di Wilkie Collins, con evidenti e abbondanti tracce di
sangue tra le pagine. Quel libro, secondo il grande intuito di Malù, è stato
“testimone” di un omicidio. Ma come? Dove? E soprattutto, chi è il morto?
Perché, stante una quantità così copiosa di materiale ematico, un cadavere da
qualche parte deve esserci.
Inizia così una rocambolesca “caccia al
tesoro”, è proprio il caso di dirlo, dato che Malù e Ariel partono da
quell’unico indizio che è rappresentato dal libro.
I dialoghi divertenti, freschi e credibili
stanno alla base del successo di questo romanzo, davvero una lettura spassosa
che si divora in un fiato. La cosa che più salta all’occhio è che la storia,
narrata in prima persona, fuoriesce dai pensieri di Ariel, la traduttrice che
lavorando da casa si occupa principalmente del gatto. Malù è colei che risolve
i misteri, una sorta di “amica geniale” di cui lodare le gesta, anche se nella
tanta ammirazione si avverte un sentimento profondo di affetto. L’indagine è lasciata
interamente nelle mani delle due amiche, coadiuvate a tratti da Samuel e Kobe,
quest’ultimo afflitto da un problema amoroso. Un litigio con la fidanzata
Ayumi, che ritiene che lui abbia sbagliato nei suoi confronti ed è in cerca di
rivalsa. I poliziotti, il commissario De Iuliis e l’ispettore Andrea Silvestri,
il secondo anche ex di Ariel, restano ai margini, facendo da supporto.
Il puzzle si compone, in modo logico.
Ampiamente deduttivo. E alla fine, il cadavere senza identità avrà un nome, il
colpevole verrà consegnato alla giustizia, il gatto Mycroft sarà riempito di attenzioni.
E un nuovo episodio? Ecco, ci risiamo. Quando
i personaggi creano dipendenza, ci si spera sempre.
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