"Il volo dell'equilibrista" di Maria Loreta Chieffo. Giallo denso e appassionante al cui interno si nascondono molteplici sorprese
Di Fabio Gaudiosi
Maria Loretta
Chieffo torna nelle librerie con “Il volo dell’equilibrista” edito da Homo
Scrivens. Il suo è un romanzo avvincente, che attira il lettore fin dalle prime
pagine, immergendolo da subito nel cuore dei fatti; quella che viene
raccontata, infatti, è l’indagine condotta a seguito dell’omicidio del
dirigente della scuola “Eugenio Montale” di Napoli, anche nota come la Genio,
dopo aver perso tutte le altre lettere che componevano l’insegna all’ingresso.
Eppure, nonostante l’indagine conservi un ritmo sempre avvincente, la
scrittrice non rinuncia mai a inserire alcune tematiche di estremo interesse,
riuscendo a raccontare la scuola anche attraverso i rapporti sociali di cui si
compone, non tutti in effetti sempre fisiologici, ma spesso estremamente
patologici. Insomma, la Chieffo, con assoluta precisione, mescola nel suo libro
il fascino del mistero e l’esigenza di restituire un’immagine fedele dello
stato della scuola oggi, denunciandone così le attuali disfunzionalità.
Il romanzo si apre subito con la scoperta dell’omicidio del preside Antonio Locapo, trovato morto nel suo ufficio all’interno dell’Istituto. A dover decidere sul da farsi è Sandro Vicedomini, vicepreside della scuola e personaggio centrale nella trama, al quale vengono pesantemente addossate fin da subito tutte le responsabilità nella gestione del personale. Ecco infatti che fin dalle prime pagine si individua uno spaccato molto affascinante dei rapporti tra i colleghi, con l’intento da parte della scrittrice di restituire al lettore i tratti delle personalità dei futuri sospettati. A dover risolvere l’indagine è il commissario Alberto La Guardia, amico di vecchia data del vicepreside, al quale questi consente di assistere a tutti gli interrogatori, al fine di concedersi un confronto costante e consapevole con chi l’istituto lo vive quotidianamente. Infatti, l’approccio scelto dal commissario è proprio quello di immergersi quanto più possibile nella scuola, indagando sulle dinamiche interne e le personalità dei singoli docenti: non è casuale che il commissario decida di svolgere i propri interrogatori proprio all’interno dell’Istituto, vivendo con maggiore pienezza l’aria che vi si respira. È altrettanto interessante in tal senso contestualizzare l’ambiente principale in cui l’indagine si compie: l’ufficio del preside viene descritto con estrema accuratezza dalla Chieffo affinché al lettore sia sempre chiaro lo spazio in cui operano i protagonisti; eppure, nonostante vi potesse essere il rischio di creare una narrazione statica, la scrittrice riesce invece a regalare al romanzo un’impronta sempre calzante e avvincente, creando così le condizioni per un finale decisamente inaspettato.
«E si diceva pure che quel mestiere pieno di responsabilità lo faceva sentire ora l’uomo con il cerino in mano lasciato dai governanti del momento, ora il capro espiatorio di una scuola da salvare in cui aveva investito tanto per farla diventare un poco più “buona”».
È interessante analizzare come la scuola venga sapientemente raccontata dalla Chieffo, mettendo in evidenza la complessità e la difficoltà nel gestirla in maniera adeguata. Il preside, infatti, viene descritto come un uomo integerrimo, interessato al bene dei suoi studenti e per questo costantemente frustrato dalle disfuzionalità amministrative e umane inerenti al suo lavoro. Sono dunque gli stessi protagonisti a palesare la perdita di identità che vive la scuola ai giorni nostri, che rischia sempre più di smarrire il suo obiettivo educativo. Ed è per questo che in un ambiente in cui spicca in maniera evidente la crisi dell’istituzione scolastica, si distingue la figura paradigmatica della professoressa Spezzani, a cui i protagonisti destinano tutta la loro ammirazione.
«Lo so, ma siamo sempre fermi alla quantificazione. E allora? Abbiamo il dato e poi? Ma se non si interviene prima, a che serve quantificare? Il dato sarà sempre più significativo, sarà quadruplicato, ma a noi serve invertire la tendenza, non pubblicare il diagramma a torta sui giornali».
Bisogna inoltre focalizzarsi anche sull’attenzione e la cura che la Chieffo riserva ai suoi personaggi, a partire dalla scelta di alcuni dei loro nomi, che richiamano spesso l’attività o la qualità per cui spiccano in qualche modo: divertente è la scelta di chiamare il commissario “La Guardia”, il vicepreside “Vicedomini” o ancora l’ingegnere “Tremolaterra”. Insomma, in questo libro, è data al lettore la possibilità di riconoscere con ancora maggiore vividezza il gioco della scrittura, che nella sua fantasia e creatività, regala a chi lo pratica una nuova giovinezza. Ciò nonostante, l’autrice in questo caso non rinuncia mai però all’esigenza di inserire contestualmente sprazzi di riflessioni penetranti e incisive, che danno ancor di più al romanzo un colore brillante e definito.
«Evitare il dolore? Ma no, possiamo solo imparare ad affrontarlo meglio. Come una sfida, esattamente uguale a quella che sua figlia e le sue compagne a un certo punto hanno rifiutato di affrontare».
“Il volo
dell’equilibrista” è insomma un giallo denso e appassionante, al cui interno si
nascondono molteplici sorprese che lasciano senz’altro il lettore legato al
fascino delle pagine fino alla fine. Un libro che invita chi legge ad
affrontare la vita come funamboli, ponendosi al di sopra delle cose e
resistendo agli inevitabili sbalzi della corda a cui si è appesi, avendo però
al contempo la chiara consapevolezza del tragico destino che attende chi cade.
Un destino che non lascia scampo. Mai.
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