La vecchia dell'aceto e altre storie di donne

 


Di Simona Ambrosio

Questa è una storia che mi è stata raccontata. E come tutte le storie raccontate ha la potenza incredibile della scelta. Me l'ha raccontata un giovane uomo di Palermo, Salvatore. Era come se mi stesse presentando un dolce o un monumento della sua terra. In Sicilia tutti conoscono la storia della vecchia e dell'aceto. C'è pure un detto, sei vecchio come l'aceto.  Un po’ perché la storia è vecchia, un po’ perché la protagonista, la signora Giovanna Bonanno era anziana. Storie che sono patrimoni dei luoghi come le ricette di dolci particolari o come le chiese costruite con una pietra che trovi solo lì, e che non potrebbero essere altrove.

A Palermo all’ingresso del museo etnografico dedicato a Giuseppe Pitrè c'è una statua di gesso, rappresenta il volto di una donna, la pelle aggrovigliata e piena di bozzi. Potrebbe essere l’ava della strega di Biancaneve del primo film della Disney. Come se la bruttezza fosse associata a una cattiveria greve mentre la bellezza algida è collegata ad una cattiveria più sottile.

La vecchia dell'aceto era brutta come solo la miseria permette di essere. La sua storia è protagonista di un romanzo di appendice di Luigi Natoli, che apparve a puntate sul giornale di Sicilia. Palermo fine ’700: Giovanna Bonanno, anziana e poverissima, vive di quello che le regala la strada. La sua vita cambia quando scopre che che un intruglio fatto di aceto e arsenico, venduto per uccidere i pidocchi dall’aromatario dove chiede la carità, uccide lentamente. E senza lasciare traccia.

Pare che al processo si fosse giustificata dicendo che faceva del bene, aiutando le mogli a liberarsi di mariti scomodi e violenti. Regalava la libertà dal male, si fidava di chi aiutava, furono proprio due amanti clandestini a raccontare quello che faceva e a portarla all’impiccagione ai Quattro canti. Un’assassina seriale settecentesca, chissà quanti ne uccise e chissà se ebbe dei rimorsi o la fame che pativa le concedeva una remissione dal peccato. Il veleno lo vendeva.

Probabilmente regalando una morte lenta era portata a credere di non commettere alcun reato.

E se fosse stata un uomo, sarebbe stato incolpato ugualmente, sarebbe stato giustiziato?

Povertà, genere sessuale e colore della pelle sono discriminanti?

La storia che mi ha raccontato Salvatore mi è balzata alla memoria quando qualche giorno fa ho visto un film francese nell'ambito della rassegna Europa cinema al femminile. Il titolo francese è intraducibile e quindi in italiano hanno scelto di semplificarlo in “senza prove”. La regista, Béatrice Pollet, parte da un fatto di cronaca. Una donna avvocato, madre di due bambine, viene trovata di sera dal marito, ingegnere, nella cucina della loro villetta, in un mare di sangue, quasi morta. Parallelamente un vicino viene attirato da un movimento: in un sacco per raccogliere l'immondizia, di quelli neri e oscuranti, c’è un neonato poggiato sul cassonetto fuori la loro abitazione. Il neonato è figlio della coppia e la donna avvocato viene subito messa in prigione in maniera preventiva. Piano, incomincia a ricordare quello che sembra essere un parto, ma che non le appartiene. Il figlio non è suo, non sta mentendo come dicono tutti, non voleva uccidere il neonato, la sua mente il suo corpo non l'avevano accettato. La solita terribile menzogna che propongono tutte le madri assassine. Noi spettatori osserviamo questa donna che non mostra emozioni particolari se non lo sconvolgimento per essere stata messa in una prigione, essere quasi morta, essere lontana dalla sua famiglia. Siamo in bilico sulla scelta, le crediamo oppure no, fino a che la difesa non propone una radiografia, una prova tangibile e reale su quello che era successo. La donna, come tante, tantissime altre, ha vissuto una gravidanza negata, déni de grossesse, una gravidanza non percepita. La pancia non è mai uscita fuori per accogliere la tenerezza di un neonato.

In questi casi l'utero ha un comportamento assurdo, il bambino cresce adagiandosi sulla colonna vertebrale; ecco perché né lei né il marito si erano accorti di nulla. Ma ora nel processo c’è una prova tangibile a rivelare, che la sua non è un’invenzione, che realmente il ciclo mestruale l’ha accompagnata per 9 mesi e che non sta mentendo. C'è un bambino in ospedale, suo figlio, ma a lei estraneo. Il parto è avvenuto per scivolamento e l’utero non ha neanche le contrazioni. È incredibile pensare che un corpo e una mente possano negare un evento così potente, come la crescita nel tuo corpo di un essere vivente.

La nota mamma che ha lasciato morire di fame sua figlia, ha raccontato di aver partorito la bambina nel gabinetto di casa e di non sapere di essere incinta. La ragazza di Parma che ha seppellito i suoi due neonati nel giardino di casa, ha raccontato di non aver percepito la gravidanza. Entrambe non sono state credute. Di certo la verità la conoscono solo loro.

Ma la gravidanza non percepita esiste. Quali sono le donne a cui può capitare? Non è dato saperlo. Sono donne di diversa estrazione, possono già aver avuto dei bambini, nelle loro famiglie ci sono storie di gravidanze difficili, o di bambini nati morti. Ma in quali famiglie non ci sono? I bambini non nati o sventurati, continuano a vivere superando il tempo nei racconti che sempre vengono tramandati dalle donne di casa.

Un miracolo appare la vita, mi appassiono alle storie delle nascite e delle non nascite.

Esiste un autobus incredibile che collega due luoghi molto distanti di Napoli, Montesantangelo, a Ovest, e Ponticelli ad Est, percorre tutta la città per portare i napoletani all'Ospedale del Mare. Gli autisti sono molto gentili, ti prendono anche alle fermate non autorizzate e ti lasciano scendere lungo il percorso. Vogliono compagnia, amano chiacchierare.

Oggi l'ho preso e c'era una signora somala, con la nipote. Vive a Napoli da oltre 40 anni. È rimasta per amore. Ha sposato un napoletano, non conosco il suo nome, però mi ha raccontato che dei suoi quattro figli, uno è morto. Al mio “mi dispiace”, con fermezza dietro gli occhiali, gli occhi scurissimi puntati nei miei, mi ha detto che qui, su questa terra, siamo per vivere e per morire.

C’è chi ci resta più tempo, chi meno. Poi andiamo da lui, da Allah. Si vive e si muore, così è.

Aveva un sorriso dolce nel volto racchiuso dal chador nero.

E così ripenso alla vecchia dell'aceto che non aveva figli perché era troppo brutta e meschina e che già avanti negli anni è passata alla storia, per aver iniziato a uccidere.

Di sicuro presto andrò dalla signora somala nel suo negozio pieno di profumi che vengono dall’Africa e che altrove non si possono comprare.

 

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