"Omicidio al lampredotto" di Wladimiro Borchi, romanzo già finalista nel 2022 al prestigioso Premio Tedeschi, oggi pubblicato da Fratelli Frilli Editori
Di Cristina Biolcati
Ci sono personaggi che, nonostante
decidano di trasferirsi altrove per varie vicissitudini, quando tornano nel
loro luogo d’origine sembravo trovare finalmente un senso. A casa, esattamente
nel luogo e nel punto dove dovrebbero stare. Mettiamoci anche un tempo, quel
famoso “qui e ora”.
E questa è la sensazione che si ha quando
si legge Omicidio al lampredotto di
Wladimiro Borchi, romanzo già finalista con un altro titolo nel 2022 al
prestigioso Premio Tedeschi del Giallo Mondadori, pubblicato nel gennaio 2025
da Fratelli Frilli Editori.
“Un’indagine fiorentina per Leone
Serafini” annuncia la didascalia in copertina, ed è esattamente ciò che il
lettore si deve aspettare. Un personaggio che si muove al ritmo di Firenze, che
fa di questa città un essere pulsante, una sua disponibile alleata.
Leone Serafini è un cinquantenne con la
pancia flaccida e il nasone (parole dell’autore!) che conserva un atteggiamento
disilluso nei confronti della società, ma è allo stesso tempo dotato di senso dell’ironia.
Più che cinico, Serafini è stato forgiato da anni di sfortuna, per cui quella
che indossa è una corazza che lo ha indurito, anche se ormai gli calza così
bene addosso da risultare difficile valutare fino a che punto. Piuttosto di
litigare, di soffrire, lui preferisce lasciare, fuggire, abbandonare. Che dire?
Ognuno ha i propri metodi.
Nello specifico, Leone Serafini è un ex
avvocato che nell’ultima decina d’anni è vissuto in Brasile, dove ha fatto
l’investigatore privato. Almeno, così dice. Anche se non perde occasione di
fare raffronti tra quel Paese e l’Italia, senza dimenticare di rimarcare che
adesso non è più provvisto di licenza, in quanto non l’ha più rinnovata. E a
tal proposito, il personaggio presenta un vissuto che è bene che il lettore
scopra da sé.
Quando torna a Firenze, dunque, Leone
Serafini? Presto detto. Anche se c’è poco da stare allegri.
Esattamente quando suo padre Cesare,
Cesare Serafini, viene accusato di avere ucciso una ragazza diciassettenne, nei
giardini dello Stibbert. Lo accompagna un’amica trans, Amanda. La sola ad
accettarlo veramente per quello che è, senza pretendere niente in cambio.
L’unica a volerlo aiutare, sinceramente preoccupata per la passione, diciamo
così, un tantino “smodata” di Leone per l’alcol. Un rifugio sempre efficace, per
carità! Anche se non bisognerebbe abusarne, pena la perdita della lucidità.
L’accusa rivolta al padre è infamante.
Leone inizia un’indagine personale, al fine di scagionare l’anziano genitore.
Che coinvolge un amico avvocato, nominato ufficialmente in difesa di Cesare, e il
giovane figlio di un altro caro amico, che ne approfitta per fare un po’ di
apprendistato. Il terreno da scandagliare, con indagini serrate, è la zona dove
è avvenuto il delitto. Chi la frequentava? Chi può avere visto qualcosa? È lì
che bisogna battere a tappeto, sebbene Firenze intera domini sovrana, con tanti
scorci che sembrano stralci cinematografici.
Le pietanze di mamma Yara, col suo caffè
sempre abbondante, infondono profumi e sapori tipici. Come quel lampredotto, da
cui deriva il titolo, piatto decisamente insolito per chi non è fiorentino. Non
si finisce mai d’imparare!
Punto di forza del romanzo? Wladimiro
Borchi è un avvocato penalista, per cui si sente che le parti cosiddette di
“giallo giudiziario” sono trattate con competenza. Il tutto unito a una prosa
puntuale, ironica. Senza troppi giri di parole, ma focalizzata al punto.
Un romanzo consigliato! E se Leone
Serafini dovesse mancarvi, vi do una buona notizia.
Con un racconto incentrato su questo
personaggio, Wladimiro Borchi ha vinto il Premio Neroma 2024. L’ultima volta che vidi Leone Serafini,
questo il titolo del racconto, sarà pubblicato presto su Il Giallo Mondadori.
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