Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio, la docuserie Netflix che riaccende i riflettori sulla tragedia di Brembate
Di Claudia Siano
Si
torna a parlare di Yara, la tredicenne scomparsa nel novembre del 2010 a
Brembate di Sopra (BG). Il caso di enorme clamore mediatico sin da subito,
probabilmente il più seguito d’Italia, ritorna ad essere al centro
dell’attenzione per la comparsa su Netflix della docuserie: Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio diretta da Gianluca
Neri.
Il
regista in questa sede cerca di conferire una successione cronologico-temporale
a una storia, o meglio, a una tragedia che mai l’ha avuta una linearità e una
consequenzialità. Un dramma, dove i dubbi non sono mancati, tra testimonianze presumibilmente
“millantate” visto il clamore mediatico e la difficoltà nel riuscire a trovare
una spiegazione, un collegamento tra misteriose tessere. Tanti i punti di vista
ma nessuna telecamera, tante le piste possibili ma nessuna certezza. Tantissimi
anche i documenti collazionati, materiale tale, così sparso e variegato, da consentirne
lo studio per la creazione del prodotto cinematografico.
Le
cinque puntate del documentario ricostruiscono la storia di Yara Gambirasio
secondo più piani temporali e più prospettive, due in realtà le preponderanti:
la storia del colpevole e quella delle seconde vittime di questa terribile
vicenda dopo Yara, i suoi genitori.
Si
ripercorrono le dinamiche dell’arresto di Bossetti, la difficilissima indagine
condotta, si evidenzia con particolare attenzione il ruolo dei singoli, tra
sofferenze e responsabilità che ciascuno si attribuisce. Tempestività, mistero,
aiuti comuni in cerca di una verità, il padre di Yara più volte ringrazia per
la vicinanza i compaesani, tutte le persone che hanno fatto l’impossibile per
far luce sul caso in cerca di giustizia. La delusione quando ormai nulla si
poteva più, il rinvenimento del corpo della bambina avvenuto in modo del tutto
casuale in un campo aperto a Chignolo d’Isola (a circa 10 km da Brembate di
Sopra), la ricerca del colpevole, un colpevole che sua moglie mai ha creduto
tale. A parlare è anche lo stesso Bossetti, il quale continua a dichiararsi
innocente, nonostante il ritrovamento del suo DNA sull’intimo della bambina, e
attualmente condannato all’ergastolo. Per una terza chiave di lettura, quella
della vittima, è consigliata la lettura del libro di Laura Marinaro e Roberta
Bruzzone: Yara autopsia di un’indagine.
Insomma,
la docuserie ha lasciato una moltitudine di interrogativi aperti, attraverso
l’inserimento anche di dettagli come i tagli presenti sul corpo di una ragazza
indiana uguali a quelli di Yara (evidenti in seguito all’autopsia), ma dove il
caso è stato archiviato come suicidio.
Si
rivela una serie divisiva, che talvolta conferisce particolare voce alle prove
confutate dalla difesa e alle mancanze rivolte all’accusa. Emergono immagini
inedite di Bossetti, tra cui il momento dell’arresto, lo spavento, il tentativo
di scappare, cui immagine era nell’immaginario comune ricondotta alla
fotografia sul divano con gli occhi spalancati. Un disegno, quello delineato
dal documentario, che sta lasciando spazio anche alle critiche e alle
perplessità dovute alle scelte editoriali, dove “dubbio” è parola chiave, non a
caso presente anche nel titolo. Tra luci e ombre, una storia che non smette di
fare chiasso, una ferita che non smette di sanguinare.
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