Di Simona
Ambrosio
Nel mese di luglio, in un appartamento, in una
periferia di una grande città, una mamma chiama il 118. La sua bambina non
risponde ai richiami, sembra dormire, ha le manine e i piedini neri.
I giovani medici del 118 non possono che
constatare il decesso della bambina, ha soli 18 mesi ed è già morta da un
giorno o due.
La bambina si chiama Diana, la sua mamma,
Alessia, l'ha lasciata sola per alcuni giorni, i giorni sono 6 e Alessia le ha
lasciato 2 biberon di latte e 1 biberon con del tè. Numeri che non lasciano
questa storia: 6, 2, 1.
Ricordo che quando i miei figli avevano un anno
e mezzo mangiavano tantissimo: biberon di latte vaccino mattina e sera, almeno
2 pasti principali e due spuntini, con frutta e yogurt. E poi correvano nel
parco, salivano e scendevano dallo scivolo e come tutti i bambini
piangevano se dovevano lasciare l'altalena.
Ai 18 mesi c'erano mamme amiche, poche, che
continuavano l'allattamento, come rituale. Tenere un bambino al seno ti ricorda
costantemente che quel bambino esiste e che tu esisti in quella parte della tua
vita, per lui o per lei. A 18 mesi la ciccia sulle gambe piano inizia a
scomparire, sostituita dal desiderio di muoversi e conoscere. Ripenso con
malinconia a un tempo della nostra relazione che non tornerà.
Invece in quei 6 giorni di luglio Diana era nel
suo lettino da campeggio, da sola, con lo stesso pannolino pieno di pipì e
cacca, affamata e assetata. E i suoi meravigliosi occhi scuri, occhi che
abbiamo visto in tantissime foto, non trovavano lo sguardo di nessun adulto.
Non c'era con lei la babysitter, di cui aveva raccontato Alessia ai medici del
118 e non c'era la sorella... sì perché Alessia al suo compagno, di gran lunga
più anziano di lei, avrebbe detto che Diana era al mare con la sorella. Alessia
aveva lasciato la bambina per dei giorni che forse non pensava sarebbero
diventati 6, per stare con il suo compagno: un uomo che non accettava la
presenza di Diana nella loro relazione. Diana non era al mare con la zia, e
pare che prima di morire abbia cercato di mangiare il cuscino del letto e anche
il suo stesso pannolino. Alessia è stata condannata in primo grado
all'ergastolo, per l'omicidio volontario di sua figlia Diana, 18 mesi. Il Pubblico
Ministero nella sua arringa finale ha chiesto il massimo della pena
affinché questa donna potesse scoprire realmente quello che aveva fatto ed
essere invasa dall'enorme dolore.
Durante la perizia psichiatrica, Alessia ha
raccontato che il suo sogno era avere una famiglia con 2 figli, un maschietto e
una femminuccia. Questo è il sogno che avevo anche io, che di anni ne ho
16 in più di Alessia e che da piccola guardavo Candy Candy, immaginando
di essere anche io un cartone animato dagli occhi enormi. Alessia questo sogno
lo voleva portare avanti, ma le famiglie si fanno in coppia e non è facile
trovare il compagno giusto.
Nel 2005, mio figlio era nato da poco e ci fu un
caso di cronaca raggelante: una mamma aveva ucciso il proprio bambino, che
aveva giusto qualche mese in più del mio, infilandolo nella lavatrice e
azionandola. Avevo partorito da poco e Alessandra, una mia cara amica che
non vedevo da anni, ma che già aveva 3 figli, mi venne a portare un saluto per
la nuova nascita. M disse che lei poteva capire una madre in un gesto così
estremo: "noi diamo la vita e noi
abbiamo la sensazione di poterla togliere".
Parole, quelle della mia amica, che mi fecero
gelare il sangue, che però in qualche maniera potevo comprendere. Una mamma
giovane, o non giovane che sia, ha bisogno di sostegno. La maternità ti cambia
tutto, sei invasa da amore, stanchezza, frustrazione per un corpo destinato al
sostentamento di una altro essere umano.
Soprattutto sei molto sola.
Sola a volte con i tuoi pianti
inconsolabili, sola per ore senza qualcuno con cui parlare o confrontarti, sola
con una creatura che piano diventa autonoma.
Alessia, la mamma di Diana, era già sola prima
che Diana nascesse. Talmente sola da non poter dire mai al suo compagno di
essere incinta, talmente sola da non rivelare mai chi fosse il padre (l'ex
marito comparso al processo, il compagno Mario che non voleva più figli, che
non voleva una figlia da Alessia).
Alessia aveva deciso senza decidere. Era
talmente sola da partorire nel gabinetto della casa del compagno, era
talmente sola da annullare la gravidanza fingendo che non ci fosse (pare che lo
sapesse solo alla mamma), talmente sola da non poter confidare a nessuno che
quella bambina era un ostacolo per lei. Era un ostacolo per ottenere quello che
tutta la vita aveva richiesto, briciole di affetto. Diana, la sua bambina
visibilmente denutrita, ha un fiocco rosa ad avvolgerle il capo, il giorno del
suo primo compleanno.
Alessia ha rivelato allo psichiatra del
tribunale che quando era con il suo compagno la sua mente annullava la presenza
di Diana. Lui non voleva la bambina e, come un automa, Alessia se ne
dimenticava. Ma non è stata creduta.
Se hai vissuto sulla tua pelle una dipendenza,
se hai cercato di dare supporto a una persona cara, sai bene che è
possibile annientarsi.
Chi desidera amore più di tutto al mondo,
può cercare un amore malato da cui è dipendente e può annullare tutto il
resto. Chi usa il denaro per sfogarsi perde la propria coscienza, chi si
abboffa la notte, perde la propria coscienza, chi cerca un uomo più grande che
la minaccia continuamente, annulla la propria esistenza, annulla
l'esistenza di sua figlia, una bambina di 18 mesi.
In questo terribile caso, movente e soluzione
hanno un'unica risposta: la mancanza di amore.
Una bambina, Alessia, cresce in una situazione
deprivata, la madre è emigrata dalla Calabria, non capiamo se c'è un padre. Ha
una sorella diversa, anche nei tratti del volto più delicato, i colori di
Viviana sono chiari mentre Alessia è scura, è bella ma ha lineamenti e forme
pronunciate. A scuola ha l'insegnante di sostegno, è evidente dal suo sguardo,
dalla sua maniera affaticata del parlare, che ha un deficit cognitivo, una
mancanza anche quella. Ma scandisce bene le parole, Alessia, ha una
certa proprietà di linguaggio, non sbaglia, se non qualche pronome come la
maggior parte degli italiani istruiti o non istruiti.
Nella sua dichiarazione finale prima della
sentenza, Alessia dice che il carcere è pesantissimo, che vorrebbe frequentare
dei corsi ma che non può uscire dalla cella poiché le altre detenute la
aggrediscono, additandola come assassina. Alessia afferma di non aver percosso
la figlia né di averla pugnalata. L'aveva lasciata sola, sì, l'ha lasciata sola
per 6 lunghissimi giorni. Alessia termina dicendo che la sua vita è stata piena
di dolore, che non l'ha mai potuta gestire perché l'hanno tolta dalla scuola.
Io le credo, su questo non ho dubbi. So che per
Alessia la mancanza della scuola, l'averla tolta senza che lei lo volesse, è
stato un trauma difficile da superare. L'ennesimo colpo per farle del male, per
toglierle la possibilità di esprimersi.
La madre e la sorella non hanno avuto pietà per
Alessia, si sono costituite parte civile contro di lei. Sono inorridite anche
loro alla notizia che lei si prostituisse per mantenere la bambina: campava con
i soli 200 euro al mese che le passava la mamma.
La madre e la sorella sono inorridite al fatto
che Alessia avesse rapporti con uomini, facendosi pagare per mantenere la
figlia.
Alessia la lasciava spesso, l'aveva già fatto altre
volte almeno 5 giorni di fila. Ed era stata fortunata perché a Diana, quelle
volte, non era successo l'irreparabile. È possibile che nessuna di
quelle persone che ha testimoniato (vicini, compagni, parenti) si sia
accorta di nulla? Nessuno è riuscito a superare la ritrosia di
Alessia per aprire quella porta? Nessuno ha chiamato un assistente sociale
affinché intervenisse.
Nessuno.
La società in cui viviamo è responsabile. La
società della comunicazione immediata tramite una tastiera, che però non ha un
rimbalzo reale. La società che si fa i fatti suoi e che non si ferma e si
interroga su una bambina denutrita. La società che non accoglie una
donna e la sua bambina. Una donna dall'apparenza normale, tanto normale, da
poter sopportare un processo ma che partorisce nel 2022 nel wc di casa
dicendo di non sapere di essere incinta. Noi, la società, abbiamo rispedito
mamma e figlia a casa senza un sostegno umano e senza stipendio.
Spero che l'augurio del Pubblico Ministero si avveri, che Alessia possa essere
recuperata dal carcere, mi auguro che le nostre carceri siano in grado di
recuperare una donna come lei.
Mi auguro che Alessia possa completare i suoi studi. E che la piccola Diana
possa esser libera, come i gabbiani che stanno volando sul cielo sopra di me
in questo istante.
Ora, in questo luglio, su una spiaggia ventosa ne parlo con mio figlio che
ormai ha 19 anni. Mi dice che sembra una storia scritta da Giovanni Verga. Il
grande scrittore italiano è stato protagonista, amato da molti ragazzi che
hanno svolto la maturità.
Chissà la sua incredibile penna come l'avrebbe raccontata questa storia. Forse
sarebbe partito dal sorriso ingenuo di Alessia e dall'elegante vestito rosso
con cui si faceva fotografare nel piccolo parco sotto casa.
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