“La punizione”, il ritorno di Sara Bilotti in libreria. Il senso di colpa, la pazzia e il colpo di scena finale che fa vacillare dubbi e certezze
Di Anita Curci
Sensibile e audace autrice napoletana, Sara Bilotti negli anni ha dimostrato di avercele tutte le carte in regola per imporsi in un territorio, locale e nazionale, dove nascono ogni giorno più scrittori che bambini. Comincia come lettrice accanita, poi arriva a tradurre best seller per case editrici importanti, quindi il grande salto, pubblica e si fa leggere. Si fa leggere con piacere. Dopo i più recenti “I giorni dell’ombra” e “Eden”, ora in libreria “La punizione”, incentrato sul senso di colpa e il modo per tenerlo a bada fino al colpo di scena finale, cifra ricorrente e apprezzata nei romanzi della Bilotti.
Sara, anni
di attività come traduttrice e ghostwriter, poi nel 2012 la svolta come
autrice, esce il primo romanzo, “Nella carne”. Era un sogno che già rincorreva
oppure l’idea di diventare scrittrice è maturata col tempo?
Era un sogno di bambina, che però non rincorrevo. Leggevo troppi libri per immaginare i miei in vendita su uno scaffale. Ma la vita ti sorprende sempre, nel bene e nel male.
In
prima linea, nei suoi libri, vite e
complicazioni di donne. Cosa vuol raccontare attraverso le loro storie?
Scrivo di donne perché mi sento sincera nel raccontarle. So di cosa parlo. Evito di scrivere di cose che non conosco bene, nei libri ma anche nei social. Mi sembra che questo dilagante “iosotutto” stia facendo molti danni.
Sia in “Eden” che in “La punizione”,
di recente pubblicazione per HarperCollins, prima Giulia poi Barbara/Alice
finiscono per cadere nella trappola dell’amore e della passione per un uomo
“sbagliato”. Quando tutto urla di guardare altrove, loro procedono incuranti
come ossessionate. Perché? C’è un messaggio che vuol trasmettere?
Mi occupo da anni, come volontaria,
di violenza contro le donne, fisica e psicologica, e abuso familiare. L’unico
messaggio che spero di trasmettere riguarda la percezione che purtroppo molti
hanno della vittima: domande sprezzanti come “perché non se ne va?” “Perché è
stata così stupida da non lasciarlo in tempo?”, mi fanno imbestialire. Dietro
ogni vittima, secondo la mia personalissima esperienza, c’è spesso una storia
di violenze durante l’infanzia, un imprinting dell’amore misto alla rabbia. Per
liberarsi di certe cose è necessario un lungo percorso terapeutico, giudicare
non aiuta nessuno e dimostra un’enorme superficialità. Mi piacerebbe spiegarlo
come meglio posso, anche attraverso le storie che scrivo.
L’amore non corrisposto, inoltre, mi affascina da sempre come elemento narrativo. Con forse troppa enfasi sostengo che sia l’unico amore eterno, perché spesso la passione amorosa si nutre dell’assenza, ci porta a inventare chi non c’è. A renderlo simile a un dio.
Cosa accomuna Giulia e Barbara/Alice
e cosa le rende diverse?
Hanno storie molto diverse ma sono accumunate da un trauma. Racconto spesso dell’elaborazione del trauma, lo studio da profana e ascolto tante storie, alcune davvero agghiaccianti e a volte inverosimili.
Nella “Punizione”, dopo un dramma da
dimenticare e superare, accade qualcosa di sconcertante. Soprattutto, si
presenta una curiosa casualità. Una casualità che nella vita reale è
effettivamente possibile, ma quanta fatica deve fare uno scrittore per renderla
credibile in un romanzo?
Molta fatica, fa parte del gioco.
Quando scrivo non penso al lettore, ma nel lavoro di editing successivo il
lettore è il mio faro. Devo rispettarlo. Anche perché le mie storie sono piene
di capovolgimenti, dei cosiddetti “colpi di scena”. Che devono essere costruiti
con grande attenzione, senza prendere in giro il lettore. È un lavoro faticoso,
certosino, ma appassionante.
Il tema della pazzia ricorre in
“Eden” ed è centrale in “La punizione”. Come mai?
Mi piace leggere storie di persone che perdono il contatto con la realtà, perché in quei casi il cervello comincia a creare quasi sempre una realtà parallela, che non ha meno forza e realismo della realtà oggettiva. Trovo affascinante il meccanismo di rimozione, di rivolta, di costruzione, di illusione, che il cervello mette in atto per non soffrire.
Negli ultimi tempi, con la produzione
industriale di romanzi di indagine, thriller, noir e simili, un autore come
deve fare per ideare trame originali? A lei come vengono in mente quelle per i
suoi libri?
In realtà credo che tutto sia stato già scritto, e da secoli. Quello che cerco di fare è raccontare in modo diverso ciò che è già stato raccontato. Farlo con una voce tutta mia, senza cedere alle lusinghe del mercato. Non è facile, come si può immaginare.
Progetti per il futuro?
Ho scritto un nuovo thriller
autoconclusivo, ma anche un romanzo che potrebbe dare il via a una serie. Le
serie sono molto richieste, però io non riesco a scrivere “su commissione”. Mi
sono sempre detta: se arriva, arriva. Ed è arrivato un personaggio di cui forse
non mi annoierò. Vediamo cosa succede.
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