Mistero Luigi Tenco: dopo 57 anni, ancora ombre e segreti attorno alla maledetta notte del 27 gennaio 1967. Se ne parla al Club del Giallo e dei Delitti di Carta

 

Di Marzia Siano

Alle 2:10 del 27 gennaio 1967, Luigi Tenco era già morto. Durante la diciassettesima edizione del Festival di Sanremo, il cantante, da poco eliminato dalla gara con il brano Ciao amore, ciao, in duetto con Dalida, era stato ritrovato privo di vita nella sua camera dell’albergo, la 219 della dépendance dell’Hotel Savoy di Sanremo.

Da qualche parte, nella stanza, un biglietto con sopra scritte queste parole:

Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita, tutt’altro! Ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io, tu e le rose” in finale e una commissione che seleziona “La rivoluzione”. Spero serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao, Luigi.

E, accanto a questa dichiarazione, una pistola “Walter” calibro 7,65. Tutti elementi che fanno pensare ad un suicidio.

Sono passati 57 anni, ma la morte del cantante nato a Cassine in provincia di Alessandria in Piemonte, rimane un mistero.

È possibile che l’artista si sia suicidato solo per essere stato squalificato da una competizione musicale? Si può arrivare alla morte in nome di un atto di protesta contro le “canzonette”? Tenco era depresso o aveva altri problemi per la testa? Quale poteva essere il motivo di una decisione tanto estrema?

Dai fan seguaci di Tenco agli amanti del giallo, sono state avanzate svariate teorie a sostegno di ragioni diverse dal suicidio e pensate teorie più colorite per spiegarne il movente. Tutto senza raggiungere mai tesi davvero credibili. I dubbi su come si consumò realmente la vicenda nascono anche e soprattutto dalle dinamiche sospette che ruotano attorno alle prime ore che seguirono il fatto. Non ultima la storia relativa alla compromissione della scena della tragedia, che da sola dà adito a riflessioni particolari, anche se il caso è stato chiuso definitivamente come suicidio dopo la riesumazione del corpo nel 2006. 

E proprio di questo si discuterà al Club del Giallo e dei Delitti di Carta davanti ad una fumante tazza di caffè, sabato 6 e domenica 7 gennaio 2024.

“Riesumare la salma di Luigi Tenco alla ricerca del proiettile assassino” appare a chiare lettere in un articolo del 2005 su La Stampa. “La procura di Sanremo ha deciso di ricorrere a misure estreme per fare chiarezza sui tanti punti oscuri legati alla morte del cantautore. Sono passati 38 anni e sulla fine di Tenco pesano ancora ombre e sospetti. Indagini fatte male, in modo frettoloso, il cadavere rimosso e poi risistemato in quella camera 219 dell’Hotel Savoy per compiacere giornalisti e fotografi. Roba da far venire i brividi agli specialisti dei Ris o del serial televisivo Csi”.

Infatti, la ricostruzione della scena della tragedia nella stanza del Savoy, riportata negli atti della Procura, è una totale finzione, soprattutto le fotografie. Il procuratore Mariano Gagliano, si legge sempre su La Stampa, decise così nel 2005 di riesumare il corpo del cantautore: “L’attività investigativa frettolosa, la mancanza di un’autopsia e testimonianze frammentarie consigliano un approfondimento destinato a fare chiarezza una volta per tutte”, date le troppe incongruenze emerse dalle testimonianze. “Prima di tutto la pistola utilizzata da Tenco e la ferita mortale. Un testimone aveva dichiarato nell’immediatezza che l’arma fosse una Beretta calibro 22 mentre poi venne ritrovata nella stanza solo la Walter PPK calibro 7,65 che Tenco aveva comprato un anno prima. Secondo una perizia il foro d’entrata del proiettile immortalato dalle foto non sarebbe compatibile con la PPK ma con un calibro inferiore”. 

Ma andiamo a comprendere la faccenda delle armi. Il giorno 28 gennaio 1967  su L’Unità, nell’articolo del giornalista Daniele Ionio, si legge:

“Tutto regolare sul piano burocratico, Luigi Tenco aveva il Porto d’armi”. Poi, tra le righe, Ionio precisa: “Luigi aveva fatto qualcosa di troppo grande, qualcosa che ha infranto le regole del gioco”.

Ma la domanda è: perché aveva un Porto d’armi? A cosa doveva servirgli? È il suo produttore discografico Paolo Dossena a fornire qualche indizio.

Da Tv, Sorrisi e Canzoni, Misteri del caso Tenco, del 5 marzo 2004: “Dossena scoprirà l’esistenza di una pistola nell’auto che Luigi Tenco gli aveva chiesto di portare da Roma a Sanremo. Infatti Tenco era arrivato a Sanremo in treno da Genova e aveva chiesto a Dossena di arrivare in Liguria con la sua automobile: l’amico nel viaggio venne fermato dai Carabinieri e cercando i documenti, si era ritrovato l’arma tra le mani, non notata dalle Forze dell'ordine. Tenco si era scusato aggiungendo di avere una pistola “perché hanno già cercato di uccidermi due volte. L’ultima è stata poche settimane fa a Santa Margherita Ligure. Ma non chiedermi chi ce l’abbia con me, non ne ho idea”.  

Perciò aveva acquistato per autodifesa tre pistole e un fucile. Ma da chi doveva difendersi?

L’Unità riportò una dichiarazione del conduttore televisivo Mike Buongiorno, che non può passare inosservata:

“Mike Buongiorno era lì, nella hall, quando Dalida è scesa. Mike Buongiorno è un uomo che non si distrugge, è una creatura del successo. Ieri notte era stravolto. Aveva accompagnato Luigi Tenco fin sul palcoscenico quasi sorreggendolo. “Tanto è l’ultima volta che canto” gli aveva mormorato Tenco. “Che cosa vuoi dire?” aveva ribattuto Mike. Tenco aveva allora bofonchiato qualcosa che Buongiorno non ha capito”.

Difficile districarsi in quadro poco felice che dipinge Tenco “un uomo  tormentato. Un anticonformista fin troppo esagerato che nessuno ascoltava. Lo chiamavano il padre degli arrabbiati, gli riconoscevano il merito di essere il primo anticonformista, ma era uno che non faceva cassetta e lo lasciavano in disparte".

E che dunque per il dolore del rifiuto, per l’umiliazione di essere sminuito, si sparò in testa. Andò davvero così? Fu questa la versione che si evince dagli articoli di giornale, sostenuta e confermata anche dalla ricostruzione dei fatti prima della morte. La Stampa scrisse che: “gli ultimi giorni di Luigi Tenco, raccontati da chi li ha vissuti accanto a lui, sono stati molto tristi, quasi pieni di presagi funesti. Luigi Tenco arriva a Sanremo come trasognato. Lo sguardo è allucinato, le parole spesso non riescono a tradurre l'ansietà che lo divora. Alle prove è nervoso. Nemmeno i giornali specializzati gli hanno dedicato qualcosa di più delle dieci righe di prammatica. E Tenco, per la prima volta spinto nel delirio spesso insensato del Festival, ha paura”.

Possibile che si tratti della paura di non essere capito dal pubblico e di essere eliminato dal Festival?

Per superare l’ansia della gara, si scoprì in seguito che aveva assunto alcol e Pronox. Al produttore Paolo Dossena, che lo aveva rimproverato di bere troppo prima dell’esibizione, Luigi disse: “Sei così amico da metterti fra me e il whisky, ma saresti così amico da metterti fra me e la pallottola di un mio nemico?”

Una frase criptica alla quale Dossena diede importanza solo il giorno dopo, quando l’amico ormai non c’era più.

L’Unità scrisse: “Alla fine dello spettacolo, Tenco ha atteso i risultati. Poi ha preso la macchina e ha accompagnato due ragazze in un locale notturno: per poco non investiva un camion. Poi Tenco è tornato in hotel, gli amici lo hanno visto ripartire a tutta velocità guidando come un pazzo”.

L’Unità riportò anche la dichiarazione dell’editore discografico Mitanjian della Durium che lo definì “vittima del sistema”. Mentre La Stampa fornisce un quadro preciso del cantante: “Era un ragazzo che a ventotto anni non aveva ancora trovato la sua strada. Eppure, quando ancora nessun cantante avrebbe osato presentarsi con i capelli lunghi e imporre al pubblico canzoni popolari e di protesta, Luigi Tenco aveva qualcosa da dire. La sua rabbia era sincera, il suo anticonformismo – e si badi senza colori politici ne precise ideologie – non era una posa. Come confusamente aveva dichiarato a Torino, voleva lanciare un nuovo genere di canzone popolare, basata su un folclore autentico e ricca di fermenti che agitano la gioventù d’oggi. Ma era perplesso ed insicuro. Era davvero un ragazzo che non aveva trovato ancora la sua strada”.

L’anticonformismo di Tenco si esplicitava nelle sue canzoni. La sua sfida con la musica era questa: fare della sua arte, un modo per diffondere i suoi ideali. Si evince chiaramente dal testo della canzone Ragazzo mio: 

Ragazzo mio,

un giorno ti diranno che tuo padre

aveva per la testa grandi idee,

ma in fondo, poi, non ha concluso niente.

Non devi credere, no,

vogliono far di te

un uomo piccolo,

una barca senza vela;

ma tu non credere, no:

che appena s’alza il mare,

gli uomini senza idee

per primi vanno a fondo 

Uno spirito giovane che portava con sé una speranza di cambiamento. Degli ideali a cui fu attribuita, dai giornali, la colpa della sua morte. L’Unità scrisse: “Consapevole di come funzionasse l’industria della canzone, si era sempre rifiutato di prestarsi al gioco, di lasciarsi integrare nel meccanismo. Questa volta aveva ceduto. La sua illusione è stata quella di credere davvero che il meccanismo dell’industria discografica si rinnovasse.

Una sfida di cui Tenco aveva deciso di farsi carico. Un progetto fallito con l’eliminazione della sua canzone al Festival. Un sogno spento con la sua morte”.

Fu questo il vero motivo attribuito al suo suicidio. Ciò nonostante, qualcosa sembra non quadrare. Dalle ricostruzioni sul suo personaggio, Luigi Tenco sembrava una figura molto più complessa. La sua lotta sembrava avere orizzonti più lontani. E la sua morte sembra essere, ancora oggi, contornata da interrogativi che non hanno risposta.

Rai TV decise di riprendere il Festival di Sanremo regolarmente. Nella riunione d’emergenza si decise che:  “Chi lotta per il successo, per la gloria e per i soldi, non può rinunciare a tutto questo per i sogni assurdi di un giovane che voleva solamente essere capito e che aveva la super ambizione di voler dire qualcosa a chi viveva con lui in questo mondo”.

Alla fine, dopo la riesumazione del 2006, la chiusura definitiva del caso. Un articolo del 16 febbraio su Il Giornale riporta a grandi lettere: “Tenco, un mistero che non c’è: fu suicidio, il caso è chiuso. Ieri la riesumazione della salma, a 39 anni dalla morte del cantante: l’autopsia scioglie ogni dubbio”. Secondo il PM “nessuna responsabilità di altre persone”.

Ma allora, Luigi, da quale nemico stava fuggendo? Da chi si voleva difendere? Da sé stesso? Quella notte fu sparato un colpo di arma da fuoco e, misteriosamente, nessuno udì nulla, e dalla riesumazione del corpo non venne fuori alcun proiettile.

“Sara chiuso in una bustina e dimenticato in un cassetto da qualche parte”, dichiarò il PM. 

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