Giovanni Taranto, giornalista investigativo e scrittore: “Ho cominciato da cronista con Giancarlo Siani”

Giovanni Taranto
di Marzia Siano

Il Club del Giallo e dei Delitti di Carta Young ospita un giornalista esperto di cronaca nera, giudiziaria ed investigativa, ma anche uno scrittore di romanzi gialli. Tra le ultime pubblicazioni con Avagliano, La fiamma spezzataRequiem sull’ottava notaMala fede, con protagonista il Capitano Mariani. Giovanni Taranto, davanti ad una fumante tazza di the, si racconta ai nostri lettori.

Taranto, perché da giornalista a scrittore di romanzi noir?
Ho cominciato da cronista con Giancarlo Siani. Ci siamo conosciuti perché ero rappresentante d’Istituto e lui veniva a fare gli articoli sulle nostre proteste studentesche. Poi ho fatto la mia carriera, sono diventato direttore e ancora adesso dirigo un periodico internazionale, Social News. Durante la mia esperienza mi sono accorto di una cosa: su certi temi come usura, traffico internazionale di droga, criminalità organizzata, la gente ormai, specialmente in certe zone, si è un po’ assuefatta. Le persone sono stufe e non ne vogliono più sentire parlare ma c’è anche una sorta di esorcismo, cioè “io rifiuto l’argomento”; così è come se lo tenessero lontano. E allora ho sentito la necessità di cercare il modo di poter comunque parlare di questi argomenti, di approfondirli. Soprattutto di fare in modo che la gente li analizzasse, li facesse propri per avere un’idea di come sono realmente questi fenomeni e per prendere alla fine una scelta di campo. Se non conosco un fenomeno, se non so come pormi nei confronti di questo fenomeno, se non so che danni può fare realmente, come posso fare una scelta consapevole e fare la mia parte, anche da semplice cittadino? E, allora, ho scelto la strada del giallo perché quando si inseriscono questi temi in un giallo, il meccanismo si inverte. Sono le persone che vogliono sapere di più, sono loro che chiedono spiegazioni. Sono le persone che iniziano a pensare a come si può fare per sconfiggere il fenomeno. E quindi ho deciso di usare l’arma del giallo per fare in modo che sia la gente a tuffarcisi dentro. E poi soprattutto quando si legge un libro, non è come leggere un pezzo giornalistico o un servizio in TV. Quando ci si proietta nel libro, scatta l’empatia con il protagonista, con le vittime, ma anche con l’antagonista. Per esempio, nei miei libri metto il lettore nella mente del cattivo. Il lettore non sa chi è, però ragiona come lui e allora comincia a comprendere anche il perché di determinate scelte e meccanismi. Quando le situazioni si vivono tramite emozioni e non tramite nozioni, queste restano. La nozione può anche sbiadire nel tempo, l’emozione no. Quando pensi alla tua infanzia, ti ricordi del profumo di quando andavi a casa dei nonni, ti ricordi un’emozione particolare che non ti lascerà mai. Se io invece ti chiedo che cosa hai studiato di Storia in quinta elementare, non te lo ricordi perché quelle sono nozioni. Le emozioni non ti abbandonano”.

Quanto dei personaggi e fatti raccontati nei suoi libri sono ispirati all’esperienza lavorativa?

I fenomeni che tratto nei libri sono quelli che ho trattato da cronista e da giornalista per tutta la vita. Conosco il mondo del crimine, della criminalità comune e del crimine organizzato, e tutto quello che metto nei libri è realtà, tranne la trama. Quindi tutti i meccanismi di cui scrivo, quelli criminali, investigativi, giudiziari e processuali, sono tutti reali. E così anche la contestualizzazione è vera. Facevo prima l’esempio della notte senza luna, ma anche per i riferimenti agli eventi che c’erano quella giornata. Se c’era un evento sportivo, lo riporto. Se c’era una partita di calcio, il risultato riportato è quello. Tutto è vero nei miei libri, tranne la trama. Faccio immergere nella realtà di quegli anni e di quel fenomeno criminale in maniera non realistica, ma reale”.

Quanto c’è di Giovanni Taranto nel Capitano Mariani?

Indubbiamente non si può evitare di mettere qualcosa di sé nei propri personaggi. Però se ti devo dire che io sono il Capitano Mariani questo no. Per il Capitano Mariani mi è stato d’ispirazione un vero ufficiale dell’arma che io ho conosciuto e a cui sono stato molto legato, come anche lui a me. Purtroppo, non c’è più, ma mi ha dato lo spunto per quelli che sono i tratti principali della capacità investigativa e umana. E poi ci ho messo intorno quelle che sono, secondo me, tutte le caratteristiche più iconiche di quello che dovrebbe essere l’ufficiale e l’investigatore ideale dell’arma dei Carabinieri”.

I suoi sono stati definiti dei noir vesuviani, perché la scelta del napoletano nei suoi romanzi?

Perché la vita è così, dai miei libri tu trovi uno che è del vesuviano e parla quel dialetto lì. Ci sta il carabiniere che nella caserma è siciliano e parla in siciliano. Lo stesso Mariani è romano e quando si può permettere il romanesco, perché sta tra i suoi uomini o in famiglia, parla in romanesco. Se parla con la dottoressa Di Fiore, che è il suo PM di riferimento, parla in tutt’altra maniera. La realtà è così. Ma anche noi siamo così. Mi hanno chiesto che stile adotto quando scrivo. Io non adotto stili quando scrivo, io cerco di fotografare il vero. Per cui, se ci sta il barista che non capisce una mazza di quello che dicono il professore Di Maggia e il Capitano che stanno prendendo il caffè, non capisce. Se invece il professore Di Maggio e il professore Di Salvatore parlano tra di loro, parlano in tutt’altro linguaggio e si capiscono benissimo. Credo che voler impostare uno stile per far vivere i propri personaggi, tolga loro del realismo e qualsiasi ipotesi di realismo all’universo che c’è dentro le pagine”.

Qual è il suo libro giallo preferito?

Frédéric Dard
Non te ne dico uno. Ho cominciato con Conan Doyle e con i grandi classici. Ma non sono quelli i miei preferiti. Il mio giallista preferito è Frédéric Dard che era un francese, papà del Commissario Sanantonio. Una saga lunghissima, diciamo che ha ricostruito la vera storia umana e popolare della Francia dal Dopoguerra fino a quando non è scomparso. Dard è uno che ha rivoluzionato la lingua e il modo di scrivere francese, tant’è che all’inizio è stato vituperato, hanno detto che era un disgraziato, che scriveva malissimo, che era un pazzo che non avrebbe meritato alcunché. E, poi, dopo morto, l’Académie française l’ha rivalutato. Il ciclo di Sanantonio, secondo me, è un qualcosa che ti proietta in quel mondo senza fronzoli e senza filtri. Poi Dard è un giocoliere delle parole, inventa neologismi. Usa esagerazione, iperbole perché vuole trascinarti proprio in quel mondo lì e poi parla in prima persona. Dard nei suoi romanzi è Antoine Sanantonio e quindi ti tiene accanto a sé proprio come se fossi suo amico. Ti parla a tu per tu. Se stessimo parlando di cinema o di teatro, potremmo dire che sfonda la quarta parete. Ti prende per il bavero e ti tira dentro i libri. È un po’ quello che cerco di fare anche io, non parlando in prima persona, ma rendendo allo stesso modo una realtà che non vuole essere altra rispetto al lettore, non so se sono stato chiaro”.

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