Antonio Fusco: “Il romanzo crime uno strumento per raccontare la società in cui viviamo”. Con “La scomparsa di Elisa Ohlsen” torna Massimo Valeri detto l’Indiano
Di Anita Curci
Antonio Fusco è un napoletano che
vive da molto tempo a Pistoia come funzionario della Polizia di Stato. Dieci
anni fa l’esordio con un romanzo d’indagine che ha per protagonista il
commissario Tommaso Casabona. Poi entra in gioco l’Indiano, il figlio di una
rom adottato da piccolo dalla famiglia Valeri.
Massimo Valeri, cresciuto in una
società che lo ha visto crescere, emanciparsi e studiare, è diventato ispettore
nel XVII distretto di Polizia a Roma. Qualcuno lo definisce zingaro, per i suoi
modi e l’aspetto che non tradisce le sue origini. Quello che ha di buono? Molto.
Anche, e soprattutto, la voglia di sentirsi un uomo libero e senza pregiudizi.
L’Indiano lo incontriamo per la prima
volta nel particolare romanzo “Quando volevamo fermare il mondo”. È il 2021 e Fusco pubblica ancora con Giunti. Nel 2022 il
passaggio a Rizzoli con “Io sono l’Indiano”. Quest’anno Valeri è ritornato tra
le pagine di “La scomparsa di Elisa Ohlsen”.
Fusco, quanto l’interesse per la
scrittura di romanzi polizieschi è stato influenzato dalla sua attività di
criminologo forense, vicequestore e capo della squadra mobile di Pistoia?
A dire il vero, all’inizio questo
aspetto è stato un elemento frenante. Per molti anni mi sono disinteressato a
questo genere proprio perché, vivendo nella realtà le storie raccontante nei
romanzi polizieschi, li ritenevo poco interessanti e spesso anche inverosimili.
Poi, ho capito che il romanzo crime può essere anche
uno strumento per raccontare la società in cui viviamo, le persone, noi
stessi, le nostre passioni, le nostre paure, e mi è venuta voglia di provare a
scrivere qualcosa. Da lì mi si è aperto un mondo che, da ormai dieci anni, mi ha
portato a scrivere nove romanzi e a girare l’Italia incontrando migliaia di
lettori appassionati di questo genere.
I suoi esordi nel 2014 con il
commissario Tommaso Casabona. Personaggio protagonista delle sue indagini fino
al 2020, quando entra in scena l’Indiano. Cosa accade, perché questo repentino
cambiamento?
Dopo sei romanzi che vedevano
protagonista il commissario Casabona ed erano ambientati nell’immaginaria
provincia toscana di Valdenza, ho sentito il bisogno di cambiare luoghi e
persone per poter scrivere storie diverse. Volevo parlare dell’alienazione
delle grandi metropoli, delle difficoltà dei quartieri poveri e periferici,
delle città che cambiano sotto la spinta dell’immigrazione. Volevo poliziotti
adatti a questo contesto: uomini e donne abituati a confrontarsi con la
marginalità e la diversità, gente dura, schietta, diretta e poco incline al
compromesso. Così ho creato il personaggio dell’Indiano e il XVII distretto di
Polizia di Roma.
Come nasce e si sviluppa nella sua
creatività l’immagine dell’ispettore Massimo Valeri, un anarchico dallo spirito
libero, figlio di una rom e residente su una barca ormeggiata al porto
turistico di Roma?
L’Indiano è uno zingaro, anche se non
gli piace essere chiamato così. Ha un innato senso di libertà ed è insofferente
alle gerarchie, alle convenzioni, ai luoghi comuni. Ha vissuto sulla propria
pelle il peso della diversità e del pregiudizio ma li ha saputi trasformare in
capacità di ascoltare e capire gli altri. La moto e il mare rappresentano
quegli orizzonti senza ostacoli di cui ha bisogno per respirare.
Nell’ultimo suo libro, “La scomparsa
di Elisa Ohlsen”, lei racconta una storia coinvolgente e al contempo
inquietante. Cosa l’ha spinta a ispirarsi a fatti di cronaca?
Le tante storie simili che sono
avvenute negli anni 80 e 90 del secolo scorso. Volevo accendere un faro su quei
fatti, diventati nel tempo misteri irrisolti che ancora richiamano l’attenzione
dell’opinione pubblica. Pensiamo al caso di Emanuela Orlandi e di Mirella
Gregori che, dopo 41 anni, ha richiesto addirittura alla costituzione di una
Commissione d’indagine parlamentare che ha da poco iniziato il suo lavoro.
La trama di questo romanzo è chiusa o
nei successivi fornirà qualche spiegazione rispetto ad alcuni punti che
lasciano un po’ di curiosità? Ad esempio, si ritroverà mai Giovanni Leonardi?
Oppure, avrà un seguito la vicenda di Tognozzi?
Non lo so. Non ci ho ancora pensato.
Ora mi sto godendo la parte più bella di questa passione: l’incontro con i
lettori. Pensi che sono arrivato a 36 presentazioni in giro per l’Italia in
poco più di due mesi. Quando mi fermerò per ricominciare a scrivere ne parlerò
con l’Indiano. Sarà lui a decidere.
Tra i vari personaggi, colpisce la
dottoressa Priore con quel suo linguaggio che mi è parso subito confortante.
Come le è venuta in mente e perché ha deciso di farla agire in un contesto così
fortemente “romano”?
Perché l’ho incontrata nella vita
reale e mi sembrava un delitto non trasformarla in un personaggio di un romanzo
poliziesco. Per quanto riguarda il contesto, l’Italia è piena di poliziotte e
poliziotti napoletani. Una come Ornella Priore potrebbe incontrarla anche a
L’Aquila o a Rimini.
Perché Roma come ambientazione?
Perché Roma è una città abituata da
millenni ad assorbire i cambiamenti a ad adattarsi ad essi. Cosa che sta
avvenendo anche negli ultimi anni. Roma, più di altre città, diventa sempre di
più multietnica e multiculturale. Con tutte le difficoltà che questo comporta.
Continuerà sulla scia del true crime?
Le etichette non mi sono mai
piaciute. Anche perché non le ho ancora capite bene. Scriverò una storia che mi
piace e poi sarete voi a dirmi se è true crime o altro.
Progetti futuri?
Viaggiare, scrivere. Vivere.
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