L’anno Mille profuma di Duemila. Robinson pubblica un romanzo giallo a puntate, dove le inquietudini del passato ricordano i giorni nostri

 


Di Fabio Gaudiosi

 

“Chiedi… alla ragazza…”, ansimò, mentre la sua vita si estingueva come una fiammella soffocata da un alito di vento.

Tenetevi pronti ad un vertiginoso salto nel passato tra le pagine del Robinson - supplemento culturale in uscita ogni domenica con la Repubblica - che ci accoglie tra le terre del fiume Padus (denominazione latina del Po) al sorgere dell’anno Mille. Marcello Simoni, una delle firme più affascinanti nell’universo della narrativa dei gialli storici, regala ai lettori del settimanale un avvincente racconto a puntate – La locanda dell’Oca Nera - ambientato nei giorni bui del Medioevo, quando nell’aria si respirava il triste presagio dell’Apocalisse. Lo fa con uno stile asciutto, immediato, adeguato al mezzo con cui parla ai lettori, trascinandoli così subito nel cuore della storia. Ad accoglierci nelle spoglie mura della locanda dell’Oca Nera è Virginio, un garzone a cui viene data l’incombenza di accogliere due viaggiatori misteriosi che cercano un buon pasto, un focolare e tanto (troppo per i gusti del protagonista) riserbo per potersi riposare. Il primo dei cinque capitoli di cui si compone il romanzo (gli altri saranno pubblicati nei prossimi quattro numeri di Robinson il 4, l’11, il 18 e il 25 agosto) si apre fin da subito all’insegna del terrore, con un personaggio minaccioso che più di tutti fa rabbrividire i suoi protagonisti: il cavaliere nero.

“L’hai visto?”, furono le uniche parole proferite da Martino, mentre si voltava a destra e a manca con gli occhi pieni di paura. “Di chi parli?”. Per un attimo lo stabulario parve voler tornare a nascondersi tra le fronde. “Parlo del cavaliere nero!”, squittì Martino.

In un’epoca in cui si parla spesso di crisi del giornalismo italiano, in cui le vendite delle testate crollano a vista d’occhio con l’avvento di nuovi strumenti spesso meno attendibili ma più funzionali, la Repubblica sorprende i suoi lettori con un esperimento suggestivo, che riprende la tradizione ottocentesca dei romanzi pubblicati nelle pagine dei quotidiani. Infatti, la necessità di andare incontro ad un’innovazione per consentire il rilancio del giornale stampato passa inevitabilmente, ad avviso di chi scrive, attraverso il racconto di una storia. Si vuole rieducare così il lettore alla pazienza, abituandolo nuovamente ad una lettura più lenta e approfondita, ricreando un rapporto di fidelizzazione attraverso la narrazione di un romanzo. In queste pagine è quindi proposta non solo la storia di un racconto, ma anche, nel proposito di rinnovamento di un giornale, una descrizione dei nostri tempi nel tentativo di restituire il significato della vicinanza tra le inquietudini avvertite in un lontano passato e quelle che viviamo oggi. Insomma, nel romanzo del Simoni il lettore troverà dunque, nascosta, la descrizione dei nostri tempi. Ed è proprio su questo tema che Marino Niola tra le pagine del Robinson concentra il suo commento, evidenziando come sia “proprio la previsione, utopica o distopica, messianica o catastrofica delle forme che prenderà l’avvenire a costituire il pensiero dominante di ogni turn over epocale”. Così come il basso Medioevo rappresentò l’inevitabile percezione dell’Apocalisse, allo stesso tempo questa si ripresentò nell’anno Duemila con il millennium bug, il collasso informatico. E se l’analisi di Niola è giusta nel ravvisare che dopotutto tale paura sia stata legittimata dall’avvento del Covid, bisogna poi tener conto di ulteriori considerazioni: perché quest’epoca in cui abitiamo si compone di sentimenti di incertezza e paura, così come quella in cui è ambientata la storia di Simoni. Per quanto le cause da cui derivino siano diverse, le incognite affollano i nostri giorni come riempivano quelli dell’anno Mille, in “un’età di mezzo, sospesa tra il vecchio che se ne va e il nuovo che avanza”. Perché in fondo il tempo, come sostiene Niola, altro non è se non un “deserto fatto di minutissimi granelli d’istanti”, in “un’interrogazione perpetua su quel che siamo e quel che saremo”, in una lotta inesauribile contro l’eternità, da cui l’uomo non può uscirne che sconfitto. Perché gli anni a tre zeri, così come quelli immediatamente successivi, sono quelli in cui ci si rende conto del trascorrere delle ore, dei minuti, dei secondi, invertendo però il modo di contare il tempo. Abituati a procedere partendo dal passato, queste età di mezzo sono quelle in cui ci si accorge dell’incombere del futuro, dell’inadeguatezza dei giorni andati a fungere da faro per quelli che verranno, gettando l’uomo in un terremoto di possibilità, obbligandolo a mettere in discussione le tante certezze acquisite ma ormai sepolte, con lo sguardo perso nel vuoto di ciò che sarà. Fino a comprendere che, in fondo, sono proprio quelle stesse paure che finiscono per restituire un senso al nostro vivere, che questa epoca “non segna la fine del mondo ma, piuttosto, il congedo di un mondo e l’apertura di un nuovo capitolo della storia”. Perché, nonostante tutto, la Terra continuerà a girare ugualmente, mentre il tempo scorrerà inesorabile; e in questo inevitabile giro di lancette che si chiama vita, starà solo a noi il dovere di riscoprirci, andando incontro al cammino del cambiamento, per non perdersi rimanendo fermi.

 

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