Un appassionante andirivieni nel tempo, tra destini intrecciati, amori, fughe e il viaggio in una storia misteriosa dell’Irpinia nel romanzo di Giovanni Carullo
Di Fabio Gaudiosi
Giovanni Carullo torna nelle librerie
con il nuovo romanzo “Gisa e Adalgisa, l’occhio del pavone”, edito da Montag
nella collana Le Fenici. Un libro carico di adrenalina, dove il lettore si
troverà a seguire l’indagine condotta da un cronista alla disperata ricerca
della verità, per dare giustizia al tragico destino di una ragazza trovata
morta nelle terre dell’avellinese. Un romanzo in cui si intersecano passato e
presente, in cui le vicende narrate pongono le loro radici addirittura nella
lontana era della dominazione longobarda, nell’ineluttabile rete di fili
intrecciati dal fato che i protagonisti si trovano a condividere. Il racconto
di Giovanni Carullo è intriso di mistero fino all’ultima pagina, in una
costante sfida al lettore, le cui certezze vengono messe puntualmente in
discussione in un continuo avvicendarsi di nuovi spunti utili per
l’indagine.
La ragazza si chiamava Adalgisa. Era una studentessa di venticinque anni
ed era sparita da almeno tre giorni. Tutta la comunità forinese si era
impegnata nelle ricerche.
Il romanzo segue due narrazioni, una
ambienta nel mezzo degli anni sessanta, l’altra invece nel pieno della
dominazione longobarda. Al centro vi sono due donne, Adalgisa nel primo caso e
Gisa nel secondo, accomunate da un destino tanto buio quanto è grande
l’ammirazione che il lettore prova nel leggere di loro.
La vicenda principale si sviluppa
nella città di Forino, in territorio irpino, quattro anni dopo l’epoca dei
fatti raccontati da Carullo nel libro “La
bocca del dragone”. Il protagonista è sempre un giovane cronista, ormai
non più inesperto ma anzi con quattro anni di carriera alle spalle, condotti in
modo brillante in forza al Corriere
Settimanale, giornale di caratura nazionale. È una narrazione a
focalizzazione interna: è il protagonista a raccontarci delle sue avventure,
concentrandosi sui fatti, andando dritto allo svolgimento della sua indagine
senza perdersi in molte descrizioni; è interessante notare come, infatti,
Carullo abbia scelto di non permettere al lettore neanche di conoscere il suo
nome, creando così una connessione ancora più diretta con il personaggio.
Il giornalista, appena iniziato il
proprio periodo di ferie, viene infatti rintracciato da due persone alla disperata
ricerca del suo aiuto; si tratta di Fausto e di sua madre, i quali chiedono
all’esperto cronista di intervenire per poter scagionare il padre Silvio,
appena accusato di omicidio: una ragazza infatti è stata trovata morta a Forino,
il suo nome è Adalgisa.
Si muove poi contemporaneamente la
narrazione dei fatti verificatisi in epoca longobarda, da cui la storia trae le
proprie origini. In questo caso la ricostruzione viene presentata da un
narratore esterno, che ci racconta di una valorosa guerriera, la fiera Gisa,
nei cui confronti furono però prese decisioni scellerate e ingiuste dal
fratello sovrano Romualdo, su suggerimento del vescovo Barbato. Erano, quelli, anni
di grande trasformazione culturale, in cui i credi religiosi subirono profondi
cambiamenti: si cominciò a mal sopportare i miscredenti, figurarsi se donne. La
condanna di Gisa fu la sua integrità, la sua risoluta determinazione a rimanere
salda ai propri principi, andando contro ogni dettato a cui si sentiva di non
appartenere. L’amore verso Rosalinda, anch’essa donna, mal si sposava poi con
l’intransigenza delle convinzioni morali che caratterizzavano quei giorni,
portando ancora maggiore acredine tra Gisa e il mondo circostante.
Gisa non capiva come mai suo fratello, che pure l’aveva sempre
considerata tra i cavalieri più coraggiosi del suo esercito, avesse deciso di
cederla al nemico. Lei, che era la sua principale consigliera, ora si sentiva
tradita, abbandonata, venduta.
È proprio l’affinità di caratteri,
prima ancora della comune voglia a forma di occhio di pavone tra la piega del
seno e l’ascella, a legare Gisa e Adalgisa, due donne audaci e libere, convinte
dei propri valori fino a sfidare l’ordine convenzionale, troppo stretto ed
opprimente per poterle contenere. Due anime distanti più di mille anni eppure
legate dalla medesima esistenza, costrette da altri ad una vita che non apparteneva
loro, a cui hanno avuto la forza di ribellarsi in un impetuoso slancio verso la
propria integrità. Quella voglia, che entrambe hanno, così particolare, a forma
di occhio di pavone, sembra quasi volercele descrivere: rappresenta la loro
capacità di guardare oltre le superficie delle cose, di cogliere il lato intimo
della realtà in cui abitano. Fiere, intraprendenti e pure, queste due donne
vengono costantemente respinte da una società che non è pronta ad accogliere la
loro autenticità. Carullo ci restituisce due personaggi che urtano la
sensibilità della loro epoca perché non disponibili a compromessi rispetto ai
loro ideali, due personaggi con una scorza dura, ma che in fondo agiscono su
comando di una sola legge: quella dell’amore. Non è un caso infatti che il
pavone sia tradizionalmente associato alla rinascita: è da queste due donne che
l’autore ci invita a ripartire, nella imperitura lotta verso la nostra
autenticità.
Insomma, tra confraternite e segreti
d’infanzia, matrimoni combinati e ricerche accademiche, il romanzo “Gisa ed Adalgisa, l’occhio del pavone” di Giovanni Carullo è quindi l’ennesima
testimonianza di un racconto forte, che sa appassionare i lettori attraverso il
fascino del mistero, non rinunciando però a inserire temi di decisiva
rilevanza. In un libro in cui più che mai il passato si intreccia con il
presente, l’autore ci restituisce un romanzo avvincente, riuscendo a spiazzare
il lettore fino all’ultima pagina.
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