François Morlupi nel thriller dal sapore internazionale “Il gioco degli opposti”. Esecuzioni a sangue freddo e aritmetiche mortali per Ansaldi e la squadra di Monteverde

 


Di Anita Curci

Conti alla rovescia, corse contro il tempo, minuti che scorrono indigesti, cadenzati da una suspense senza fiato e da esecuzioni a sangue freddo. Nel suo ultimo romanzo, “Il gioco degli opposti” edizioni Salani, François Morlupi mette di nuovo in moto il commissario Biagio Maria Ansaldi e la sua mitica squadra dei cinque di Monteverde. Stavolta le indagini si spostano da Roma a Sofia dove, in un crescendo di azioni che vedono cooperare gli agenti del commissariato romano e quelli della capitale bulgara, si susseguono gli eventi a ritmo incalzante alla ricerca di una funzione aritmetica che contiene le regole alla base di un gioco mortale.

Morlupi, in questo libro che valica i confini nazionali, tra tante nazioni europee perché sceglie la Bulgaria?

Perché ci sono stato e ho avuto vari incontri/scontri con la polizia bulgara. Quando sono tornato vivo a Roma ho deciso di mettere su un piano inclinato i miei protagonisti e mandarli lì.


Come le è venuta in mente una trama tanto articolata e dura?

La trama è il frutto delle mie letture e della mia fantasia, ho voluto davvero creare e tessere una trama dura, complessa e molto articolata. Doveva essere l’indagine più difficile mai affrontata dei cinque, dal sapore internazionale, thriller e adrenalinico.


Tutta la storia ruota attorno alla contrapposizione tra bene e male. Alfa e Omega è solo un personaggio o anche un concetto, un modo di vivere, pensare e agire?

Alpha e Omega è un concetto, rappresenta il Male e come esso può trionfare. Il male trionfa poiché la maggior parte delle persone rimane silenziosa e assiste a delle scene tremende senza intervenire. La frase di Martin Luther King è sempre, ahimè, più attuale: “Non ho paura delle ingiurie dei miei nemici ma dei silenzi dei miei amici”.

 

Non mancano riferimenti a “metodi” di maniera nazista. Che valore riveste questo ritorno al passato?

Il passato è fondamentale per capire il presente e mi piace molto il modo con cui ognuno dei miei protagonisti affronta il proprio passato. C’è chi lo teme, chi invece ne ha nostalgia, chi vuole dimenticarlo, chi deve ricordarlo… insomma il passato è davvero fondamentale nel percorso di tutti i personaggi.

 

Dimitrov e Ansaldi sono agli antipodi caratterialmente, come è riuscito a farli andare d’accordo?

Desideravo raccontare, innanzitutto, degli esseri umani, con tutto ciò che ne consegue. Che poi siano anche poliziotti, mi verrebbe da dire, quasi paradossalmente, è secondario. Volevo davvero rappresentare l’elogio della fragilità, per questo motivo ho deciso di creare personaggi comuni, ordinari, con tante qualità ma tantissimi difetti. Non sono né bianchi né neri, ma grigi, hanno le loro zone di luce e di ombra. Ho tentato di costruire un gruppo ben amalgamato in cui ogni lettore potesse immedesimarsi. Ho dato a ognuno di loro alcune mie caratteristiche: ad Ansaldi la mia ansia e un po’ della mia ipocondria, a Eugénie il mio background, a Leoncini l’interesse per la storia, a Di Chiara la passione per la Roma e il cinema coreano… Singolarmente non riuscirebbero a risolvere nulla, ma insieme ce la fanno. Se sono partito da questo principio è perché la letteratura dell’Ottocento francese mi ha forgiato. Balzac, Hugo, Maupassant, Dumas sono stati i miei maestri. Il fatto che Dimitrov e Ansaldi siano agli antipodi e che alla fine collaborano è solo perché in fin dei conti vogliono risolvere il caso costi quel che costi e hanno capito che da soli non ce la faranno mai.

 

Nel prossimo romanzo pure troveremo sviluppi dal sapore internazionale?

No, quella bulgara penso sarà l’unica trasferta fuori dall’Italia. Anche perché in tutti i miei romanzi Roma è la sesta protagonista, una protagonista reale e viva che agisce e interagisce con gli altri. Impossibile risolvere i casi che i 5 devono affrontare in ogni indagine senza conoscere e capire l’essenza della città. Adoro il romanzo poliziesco poiché è nella sua natura un rapporto profondo con il viaggio, in tutte le sue forme. Il viaggio storico, il viaggio della dimensione psicoanalitica e soprattutto il viaggio geografico, quasi etnologico che permette al lettore di andare in paesi lontani e dalle culture poco familiari (esempio Manook, Qiu Xialong, Indridason…) o di conoscere regioni italiane, assaporandone usi, costumi, cibo, proverbi come appunto io descrivo Roma fuori da ogni cliché e stereotipo. Grazie a Eugénie riesco a mettere anche le mie origini francesi e la mia visione della società italiana... da parte di una metà francese che può rimanere allibita su alcune cose e invece affascinato su altre. Ho come tutti i romani un rapporto d’amore odio con la città e voglio continuare a descriverlo.

 

Ora che l’agente scelto Caldara non c’è più, pensa di sostituirlo? Sta già pensando alla caratterizzazione di un personaggio che faccia parte dei mitici Cinque di Monteverde?

Eliana è l’ultima arrivata e sostituisce un membro storico del gruppo, Matteo Caldara. Se Caldara era aggregante, lei doveva essere disgregante. Se Caldara doveva essere pacato, razionale e solidale, lei doveva essere impulsiva, nervosa e competitiva. Tento sempre di raccontare una certa realtà nei miei romanzi. Pertanto è impossibile avere cinque persone che vanno d’accordo su tutto! Alerami è fondamentale in questo, per ristabilire un certo realismo e soprattutto denunciare una società che ha creato e continua a creare, una generazione di frustrati. Di persone che si ritrovano a 30 anni senza un contratto fisso, abitando ancora con i genitori e che non possono accedere a una libertà economica e di conseguenza, come persona.

 

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