Mangiare, bere e leggere. La ricetta di sopravvivenza di Guerrieri, protagonista del romanzo “L’orizzonte della notte” di Carofiglio
Di Claudia Siano
Leggere per Guido Guerrieri,
l’avvocato protagonista del romanzo “L’orizzonte
della notte” di Gianrico Carofiglio, rappresenta evasione e pura
necessità, è la terza componente per la sua ricetta alla sopravvivenza. Un
romanzo che quest’estate non si può non cogliere l’occasione di leggere sotto
l’ombrellone, perché non farlo proprio seguendo il consiglio del protagonista?
L’orizzonte della notte, l’ultima uscita di Carofiglio a marzo 2024 e targata
Einaudi Stile Libero, è un romanzo giuridico alla portata di tutti, che pone la
sua attenzione su un omicidio di mano femminile, il che già risulta essere
insolito e suscita curiosità. Una è la domanda precisa alla quale non si può
dare una risposta netta e definitiva, riguarda il caso giuridico e il processo
di Elvira Castell, fulcro pulsante del libro: si tratta di omicidio premeditato
o legittima difesa?
Cosa si nasconde dietro questo
giallo giuridico dal sapore psicologico e universale? Si cela un uomo violento,
il suicidio di una donna, la rabbia di una sorella gemella che perde il suo
pilastro. Quella di Elvira è una mancanza che sa di sconfitta eterna, talmente
irreparabile da sentire di non aver più nulla da perdere; nell’astinenza di
emozioni che la percuotono durante tutta la vicenda giudiziaria, non trapela
emozione sia in seguito al delitto commesso, sia in merito alle decisioni in
tribunale, le quali sembra che non la riguardino quasi. Il protagonista è
l’avvocato difensore di Elvira Castell artefice dell’omicidio ai danni di
Petacci, ex fidanzato della sorella. L’avvocato è il già noto Guido Guerrieri,
uomo risoluto, di fermi valori, dalla forte personalità, un curioso, uno che
non le manda a dire. Un personaggio già creatura di Carofiglio, non a caso nato
nel 1961, medesimo anno dell’autore, il che potrebbe far pensare a una sorta di
alter ego dello scrittore. La data
ricorda un evento preciso nel caso di Guido, il quale, tra le numerose
conversazioni avvenute con Carnelutti (lo psicanalista con il quale Guido si
sfoga in gran parte delle pagine del romanzo) esprime una riflessione interna,
una coincidenza alla quale stranamente ha bisogno di aggrapparsi. La sua data
di nascita, il 6 giugno 1961, corrisponde alla data di morte di Carl Gustav Jung. Questa lettura, indicativa di quella
che Carofiglio definisce sincronicità, dovuta alla necessità di affidarsi a
qualcosa, di credere a qualcosa, di lasciarsi perdere anche nelle assurdità che
non sempre hanno una spiegazione. Ciò che sorprende, però, è che Guido
all’interno di tutto il romanzo si è sempre mostrato risoluto, cinico nei
confronti dei segni zodiacali, schivo verso i tarocchi, verso chiunque non
fosse in grado di conferire una spiegazione scientifica, o quantomeno una
connessione causa-effetto. Questo passo, presente nelle ultime pagine del
romanzo, mostra l’evoluzione del personaggio che cresce maturando anche gli
errori morali che sente di aver commesso durante il processo che chi legge
conosce punto per punto. Batte il cuore del lettore all’unisono con quello di
Guido, colmo di immagini di una vita passata e in buona parte attraversata,
quando Guido arriva al punto di non essere più sicuro di voler più fare il suo
lavoro di sempre, quando la coscienza viene a galla e porta i residui di quanto
lasciato indietro, di quello che sarebbe potuto essere e non è stato.
Guido incarna l’uomo in carriera,
senza figli, senza moglie ma con tante storie alle spalle, tra tradimenti suoi
e tradimenti ricevuti; quello che non ha mai lasciato una donna, ma si è sempre
fatto lasciare in qualche modo, come gli diagnostica lo psicanalista. Un
avvocato dalla lucidità invidiabile, che dal principio riesce a creare una
linea difensiva coerente e forte, pur avendo pochi elementi a disposizione per
farlo e poca collaborazione da parte della Castell.
Guido avrebbe voluto fare lo
scrittore, o forse no, eppure quella voglia da giovane di scrivere un romanzo
non è stato in grado di coglierla e ora rimane solo il rimpianto. Guido avrebbe
voluto un mondo migliore, avrebbe voluto cambiarlo e per questo sceglie la
giurisprudenza, ma poi si rende conto di essere diventato solo la pedina di un
sistema che non sempre è così giusto, che non sempre porta a risultati
oggettivi, che non sempre fa combaciare la verità giudiziaria con la verità
assoluta. Questo concetto, analizzato quale strumento per le difficoltà umane
di misurare qualcosa che è passato, dove una parola in più può sbilanciare il
destino di una vita, porta ad una riflessione sul peso di ogni singola parola.
Carofiglio ricorda la formula “oltre ogni ragionevole dubbio” più volte, eppure lui di dubbi ne ha
ben pochi, eppure la sua coscienza lo porta a schierarsi, a volte anche la
voglia di vincere lo fa, lo ammette egli stesso. La fallibilità umana e le
infinite scelte possibili, al cospetto di un universo in cui il singolo uomo è
un granello della storia che porta via tutto, uomini celebri e dimenticati,
avvocati e carcerati. Guido prova a guardare oltre, vuole guardare anche dietro
le sbarre, vuole leggere per essere ciò che non ha potuto essere, perché la
vita ha potuto viverla in un solo modo. Eppure, pensare, anche solo sognando,
di essere nato dopo la morte di Jung, gli crea speranza, illusione,
possibilità. E l’uomo ha bisogno di speranza, anche dietro le sbarre, di
credere che sia possibile un’altra strada, un’altra storia, un’altra vita.
Questo romanzo rievoca il sapore
dell’ultima sigaretta di Zeno Cosini, in quanto ultima, più piacevole; una
scrittura imperniata sulla scia di Svevo, di Joyce, di Jung, di Kafka, una
scrittura condensata di Novecento europeo, stavolta però “il processo” è a Bari.
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