Festival del Giallo Città di Napoli. Maurizio De Giovanni: Pugni nel cuore

 

Pugni nel cuore di Maurizio de Giovanni 

 

Siamo alla Villa Floridiana durante la seconda serata del Festival del Giallo città di Napoli dove nell’Auditorium si è tenuto l’evento “Pugni nel cuore” con Maurizio de Giovanni.
Una sala colma di emozioni tra canzoni, musica e la voce di Maurizio che narrava storie.

Lo scrittore ha regalato tre storie inedite al Festival, tre possibili vite, in cui tutte e tre le prospettive erano maschili. Il primo racconto trattava di un uomo che non ha potuto seguire la strada della sua felicità: quella di inseguire una nuova vita. L’unico modo per riprodurre un briciolo di quell’emozione riportando alcune sue frasi:

“Pare che uno quando ha una figlia debba smettere di essere uomo”.
“L’amore quando lo incontri lo riconosci”.
“Come può l’amore diventare un peso insopportabile?”.
Una storia in cui la vita ti pone dinnanzi alla consapevolezza di aver avuto la fortuna di incontrare l’amore e di non averlo potuto vivere. Dalla ricostruzione delle parole dell’autore:
“L’amore, da un lato. Il silenzio, dall’altro, enorme tristezza che riporta a galla il peso di un passato già cristallizzato”.

La seconda storia ha pugnalato nel cuore ancora una volta, un ragazzo in bicicletta stanco di una vita che deve sempre essere perfetta, giusta, calzante. Ma questo non sempre porta alla felicità. Piuttosto servirebbe un po’ di fantasia. Ma che cos’è la fantasia? Lo spiega De Giovanni in questo racconto: “La fantasia è il sale della vita, senza non ce la puoi mai fare”.
Il ragazzo in bicicletta pensa di avere grande fantasia e per essere affidabili bisogna averne.
 

Nell’ultima storia Maurizio De Giovanni ha parlato di una terza condizione umana, di un vecchio pieno di silenzi, senza moglie, ormai morta e con un solo unico compagno rimasto: il silenzio. Ci ha raccontato che “quando si fa orecchio al silenzio ogni singolo rumore diventa importante”.
L’ultima, una storia straziante dove una madre uccide una figlia per vendicarsi di un marito. “E comunque non erano fatti miei” dove quel vecchio ha un’unica colpevolezza, l’omissione. Ha ricordato un po’ Medea, un po’ Didone parlando però al maschile, portando a galla la disperazione, una lettera dall’inferno interiore, anzi da tre inferni interiori diversi e possibili come tanti altri.
Il suo racconto permette questo: emozionarsi, avvilirsi, disperarsi, rabbrividire, compartecipare attraverso la compassione e gli occhi lucidi a delle storie. 

 

Articolo a cura di Claudia Siano 

 

 

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