Festival del Giallo città di Napoli. Carlo Lucarelli racconta...

 LA PAURA di LUCARELLI


La paura. Il ronzio di una mosca. L’incedere di passi lenti sul parquet. L’ombra di una figura nascosta riflessa nel muro. Tutto può essere paura, se avviene alle nostre spalle.

 
Siamo alla Villa Floridiana, nel terzo giorno del Festival del Giallo città di Napoli, diretto da Ciro Sabatino. Alle 20:30 cala il buio su una sala affollata, il vociare del pubblico si spegne lentamente. Si accende una luce, da una porta esce una figura, sale le scale del palco, in scena solo una sedia e un leggio.

È appena entrato Carlo Lucarelli e il fascino della paura invade la sala dopo un solo istante.

Lucarelli incanta il pubblico raccontando storie vissute sulla sua pelle. Storie in cui ha conosciuto la paura. Storie autentiche, reali, quotidiane e senza filtri, in cui ciascuno si è trovato prima o poi. Chiudendo gli occhi lo spettatore cambia scenario, non è più seduto sulla poltrona dell’Auditorium ma si ritrova improvvisamente al fianco del protagonista, percependone le emozioni, cogliendone lo spavento. Il suono dei passi, di quelli spaventosi, di quelli che rappresentano un rumore soffocato, non voluto dalla persona che li ha provocati. Un revolver davanti, la necessità di afferrarlo, di rassicurarsi al tocco freddo del metallo mentre dalla fronte cade fredda una goccia di sudore, di paura.  
È questa la capacità di Carlo Lucarelli: quella di costruire delle scenografie perfette, fotografie ineccepibili del mistero, che conta solo quando è misterioso.

Un mistero misterioso è infatti quello che riesce ad essere al tempo stesso inquietante, coinvolgente e soprattutto imperdonabile: sì perché non ha giustificazione, non ha spiegazione, non risponde al nostro bisogno di razionalità.

In effetti quella che evidenzia Lucarelli è una vera e propria educazione alla paura in noi impressa. L’abitudine a conoscere lo spavento fin da piccoli, con quelle fiabe falsamente innocenti che i nostri genitori raccontavano con l’intento di farci dormire: Hansel e Gretel su tutte, una storia in realtà di puro terrore, persino traumatica se ci si sofferma. 
E poi ci sono le storie di cronaca, come quella di Alleghe del 1933, che Lucarelli racconta in tutto il loro spavento.

Perché in fondo la paura è un sentimento bellissimo, profondo, viscerale, che ci contraddistingue, che riesce ad esercitare quel potere attrattivo, indispensabile per approfondire cosa c’è dietro il mistero e scoprire la realtà. Il cuore batte, le mani tremano, la curiosità incalza e gli occhi si accendono: vivere la paura e non fuggirvi permette di provare emozioni fortissime, fisiche, tangibili. Per restare infine sempre un po’ delusi nello scoprire che forse tra buio e luce non c’è differenza, non cambia niente. Ma sono balle: nel buio, ci sono i mostri. 

 

Articolo a cura di Fabio Gaudiosi

 

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