LA NOVELA NEGRA DEL 1500
Siamo alla Villa
Floridiana nel quarto ed ultimo giorno del Festival del Giallo città di Napoli
diretto da Ciro Sabatino. Seduti sulle scale del Teatrino di Verzura, Susana
Martin Gijon ci porta in viaggio verso una Siviglia del 1580, punto di partenza
per raggiungere il sogno Americano nonché città natale della scrittrice.
“1580: Morte a Siviglia” l’ultimo romanzo di Susana Martin Gijon discusso
con Luca Crovi all’evento delle 12.00.
Le protagoniste: due giovani orfane, migliori amiche cui la vita mette di
fronte a due destini diversi: una prostituta, l'altra suora. Origini simili con
seguiti, se vogliamo, paralleli, ma entrambi dettati da una vita fatta di
rinunce e sofferenze.
Uno degli obiettivi dichiarati dell'autrice è "restituire una voce
alle donne del sedicesimo secolo". In generale, il romanzo si sofferma
sulla figura dei poveri, con un contrasto visibile a pieno nella prima
scena, tra classe sociale agiata e non.
"A non avere risorse era la maggioranza delle persone. Per loro
sopravvivere era ogni giorno una sfida". La prima scena del libro,
infatti, si apre con una piazza gremita di gente, tante persone accorse sul
posto quasi come a festeggiare. E invece si tratta di un’esecuzione
dell'Inquisizione che mette a rogo un eretico. Tra i tanti, c'è un uomo il cui
sguardo è diverso rispetto agli altri: è un occhio osservatore che scruta la
scena interrogandosi sulla ragione morale o amorale dietro quella sentenza.
C'è un altro romanzo che si apre in questo modo ed è "I pilastri della
terra" di Ken Follett. "Ispirazione o casualità?" chiede Luca
Crovi. "Mai casualità" risponde la Gijon affermando però che
nonostante avesse letto il romanzo di Follett non si era ispirata a quello. Il
senso della parte iniziale del suo libro si ritrova nell'intento di descrivere
il contrasto tra ricchi e poveri e far capire quanto la violenza fosse
normalizzata in quel secolo. Inserito nelle prime cinque pagine è anche un
altro elemento che impersona la crudezza di quel mondo: la donna che giace
brutalmente morta a terra tra la gente.
Un espediente utilizzato anche per
indirizzare il libro in chiave gialla, pur sempre "parlando di crimini che
veramente potevano accadere in quel tempo".
“1580: Morte a Siviglia” può essere dunque definito come un romanzo storico noir, un
equilibrio tra due generi che l'autrice voleva e ha raggiunto nonché "un esercizio che mi
ha fatta crescere come scrittrice".
Riferendosi a Siviglia, l'autrice la chiama Babilonia. “Perché?” chiede Luca Crovi.
Era così che veniva soprannominata
la città di Siviglia. Città lussuosa, cresciuta nelle ultime decadi e “porta
d’entrata e d’uscita per le navi che portavano alle Indie”, la capitale
Andalusa rappresentava la speranza per tutti coloro che sulle rive del fiume
Guadalquivir si accampavano in attesa di un posto per emigrare.
La grande
Babilonia: Siviglia con la sua Torre del Oro illuminata dai raggi del
sole era un faro in mezzo alla crisi di quel tempo. Nonostante tale fascino
sopravvivi ancora nel tempo e aleggi tra le strade accaldante di una Siviglia
moderna, la Guijon ha voluto documentarsi su tutto prima di iniziare a
scrivere. Uno studio durato due mesi e mezzo in cui la scrittrice “ha letto
tantissimo tutti i testi d’epoca” fino ad interiorizzare quello stile di vita
così vicino eppure lontano.
“Mi sono ritrovata all’una di notte a leggere
saggi, lì ho capito che avevo un’ossessione”. Ma da che tempo e tempo, è
l’ossessione il motore che muove i grandi progetti.
Prima di essere pronta, “ho studiato finché non ho riconosciuto la mia voce
utilizzata anche nei miei altri libri ma del sedicesimo secolo. È così mi sono
sentita catapultata in un viaggio nel tempo”. Un mondo nuovo già passato che
l’autrice ha voluto condividere con i suoi lettori. Un modo anche di “inserire
nella narrazione un’indagine libera e sociale su quello che a me preoccupa
della società”.
Susana Martin Gijon per la prima volta in Italia. “1580: Morte a Siviglia”,
le prime copie autografate al Festival del Giallo città di Napoli.
Articolo di Marzia Siano
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