"Chi uccise Caravaggio?". Prima serata di Festival del Giallo

 

Di Matteo Rossi

Al Festival del Giallo, uno degli appuntamenti più affascinanti è stato quello dedicato a Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. Ma stavolta, niente tele incorniciate o audioguide: si parla di un caso irrisolto, più simile a una puntata di “CSI” che a una lezione d’arte. Sul palco, Ciro Sabatino, direttore del Festival del Giallo, insieme con Raffaele Marino e Gennaro Rispoli, hanno ricostruito non solo vita e morte del celebre pittore, ma soprattutto l’enigma che ancora oggi circonda la sua fine. 
Il caso inizia con una scena precisa: Roma, ore 19, estate 1606. In una lite furibonda, forse per motivi d'onore, forse legati a un debito o a una donna, Ranuccio Tomassoni, figura discussa, con fama da protettore e trafficante, viene assassinato. Causa del decesso: un colpo all’inguine che risulta fatale. Il colpevole: un uomo ben conosciuto, un uomo con tanti amici quanti nemici e con un carattere che non passava inosservato, il Caravaggio. Non fu premeditato, secondo Rispoli: “non c'era volontà omicida, ma certo quel gesto cambiò tutto: Caravaggio fu condannato a morte e da quel momento iniziò la sua fuga”.
Ma chi era davvero il Caravaggio? "Un attaccabrighe e al tempo stesso un genio assoluto" spiega Marino. “Un rivoluzionario che ha cambiato la pittura, nelle tecniche e nei soggetti”, ma anche un uomo inquieto, incapace di stare fermo, di rispettare le regole. Da Roma fuggì a Napoli, poi a Malta, Siracusa, Messina, di nuovo Napoli. Ogni città un rifugio, ogni rifugio una nuova tempesta. A Malta tentò di diventare Cavaliere dell’Ordine, forse per cercare redenzione, forse per ottenere protezione. Ma aggredì un altro cavaliere e fuggì anche da lì. 
Tra i momenti più intensi dell’incontro, l’analisi de “La Decollazione di San Giovanni Battista”, l’unico quadro firmato da Caravaggio, firmato con il sangue. “È un’opera chirurgica” dice Rispoli “Caravaggio mostrò schizzi di sangue in tempo sincrono, prima ancora che la scienza scoprisse il funzionamento delle arterie.” In quel dipinto, Caravaggio diventa regista, anatomista, narratore. Non c'è sacralità ma una verità cruda, pulsante. Il coltello non rivela, ma uccide. E con quel sangue, Caravaggio lascia il suo nome. La morte dell’artista resta un mistero. Ufficialmente, Caravaggio muore nel 1610 a Porto Ercole per febbri malariche. Ma troppe cose non tornano e ancora oggi la vicenda alimenta ipotesi contrastanti.
Durante l’incontro viene avanzata una tesi particolarmente convincente: Caravaggio sarebbe stato ucciso dai Cavalieri di Malta, in accordo con il pontefice, per due ragioni precise. La prima è che fosse un personaggio ingestibile, imprevedibile, difficile da controllare. La seconda, ben più grave, che avesse ferito un cavaliere dell’Ordine, atto che non sarebbe potuto restare impunito. In quei giorni, Caravaggio cercava di ottenere la grazia papale: quadri che portava con sé da Napoli, destinati al Papa, rappresentano la prova concreta di questo tentativo. “Caravaggio non era un santo, e neppure un martire” dice Marino “ma neanche solo un delinquente”. Dal canto suo, l’artista ha lasciato opere che sembrano ancora urlare la sua versione dei fatti. 
L’incontro si chiude con un dubbio che è anche una certezza: Caravaggio non è morto del tutto. Caravaggio vive in ogni ombra, in ogni luce, in ogni lama di verità nascosta nei suoi quadri.
 
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