Di Marzia Siano
Il morso del Varano. Come il “male che
morde l’essere umano e non lo lascia più”. Come l’odio che uccide. Come la
colpa statunitense nel golpe di Pinochet dell’11 settembre. Come lo specchio
che mostra la nudità, la crudità, dell’uomo davanti al suo riflesso. “Nasce
tutto dallo specchio” rivela William Bavone in risposta alla domanda di Marco
Bernardi. “Lontano dallo specchio possiamo recitare tutti i ruoli che vogliamo
ma al suo cospetto non possiamo mentire. Lì siamo noi. Non possiamo
nasconderci”. Proprio lo specchio, la chiave scelta da Bavone per entrare nel
“meccanismo psicologico di chi uccide”. Lo specchio che svela la ferita celata dell’ispettore
Nico de Luca. La cicatrice che lo condanna alla perenne insoddisfazione. Il
freddo che gela il calore e “non gli permette di godere ciò che di bello ha”.
“È un condannato” il nostro De Luca. Mai in equilibrio. Sempre in bilico tra
contrasti: un salentino che odia il mare, bravissimo sul lavoro ma incapace di
gestire il rapporto con la nipote, che ricerca giustizia ma trova solo crimine.
“Niente di personale, semplicemente il tentativo di narrare un’emozione che
resta nel tempo”, condizione frammentata dell’essere umano in cui il lettore trova
spazio per identificarsi. È questo il valore aggiunto dello stile di Bavone,
“un’idea di scrittura che non serva solo ad intrattenere ma anche a lasciare un
insegnamento al lettore”. Una morale semplice, priva di manipolazioni, come i
veri insegnamenti di vita: riabbracciare il senso d’umanità senza per forza
essere superuomini. Comprendere il male, senza giustificarlo. Comprenderlo per
migliorarsi. Come il male che l’ispettore De Luca vive attraverso i suoi
contrasti. Come il male degli scrittori sudamericani nell’era delle dittature. Come
il “male che morde l’essere umano e non lo lascia più”. Come l’odio che uccide.
Come la colpa statunitense nel golpe di Pinochet dell’11 settembre. Come lo
specchio che mostra la nudità, la crudità, dell’uomo davanti al suo riflesso.
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