"Denise Jane e Andrea Carlo Cappi: due generazioni a confronto". Prima giornata di Festival del Giallo

 

 Di Andrea Romano

Sono le 19 della prima giornata del Festival del Giallo città di Napoli. Durante l’unico festival d’Italia con un pannel fisso dedicato alle spy stories, la scrittrice Denise Jane accoglie la duplice figura di Andrea Carlo Cappi: da un lato autore di spionaggio dall’esperienza più che trentennale, dall’altro autore dei romanzi di Diabolik, fenomeno culturale che nel 1962 rivoluzionò la natura del noire. Uno dei successi del Festival del Giallo è proprio confrontare due generazioni diverse di scrittori di spy stories, storie che, pur non parlando di segreti, confinano con la letteratura politica. La fortuna popolare di tali storie è garantita dall’indissolubile commistione tra ladri e spie, due mestieri che Cappi definisce confinanti. Fare la spia in origine significa rubare informazioni al proprio nemico per avvinghiarsi alla sua conoscenza. Lo spionaggio si evolve poi nell’imbroglio, nell’inganno, nella truffa, nel creare la fallace disinformazione. Si instaura un mondo ulteriore, surreale, finto: “quando scrivo di Diabolik uso la pratica dell’ingannatore”. Fare la spia non è un affare da gentiluomini, anzi l’agente segreto è proprio uno uomo che finge di esserlo. Gli agenti segreti sono mercenari, meri contratti eterodiretti da un qualche vertice.
Tra i vari casi analizzati è emerso l’ombrello di Markov, storia di un giornalista bulgaro assassinato sul ponte di Waterloo con un ombrello singolare nel 1978. Furono i servizi segreti sovietici, probabilmente, i quali intervennero escogitando un meccanismo tramite il quale sarebbe stato sganciato un dardo avvelenato con la ricina. La persona sospettata dell’ingranaggio mortifero era un italiano arrestato in Bulgaria per contrabbando e furti, il che, rafforzando la tesi della commistione tra i due mestieri, dimostra come i ladri si trovano a dover collaborare con "segreti mondi come unica via d’esodo".
Il lavoro degli agenti segreti non appare così dissimile dagli scrittori di spy stories, giacché si avvalgono della medesima tecnica investigativa: l’open source intelligence. Assegnato un tema, queste persone passano intere giornate a spulciare anche minime informazioni per rintracciare la politica interna del paese. Non indugiano a interrogarsi sull’imposizione di una notizia rispetto al mare delle rimanenti. Degradano, scavano con spasmodica e sistematica curiosità le notizie nel conato di cogliere o definire la realtà. Nondimeno ricostruire la trama concatenante dei fatti rimane operazione ostruita da più alti limiti invalicabili. Scrittori come veggenti: Cappi non dimentica la premonizione dello scrittore Stefano Di Marino, il quale aveva previsto che Al-Qaeda nel 2001 avrebbe compiuto un attentato su vasta scala per affermare la propria esistenza in Occidente, basandosi sul fatto che Parigi fosse un territorio molto spesso colpito dal terrorismo di matrice islamica. L’esito improbabile delle Torri Gemelle tuttavia predominerà, ma Di Marino non aveva completamente sbagliato mira, se si considera che dopo più di un un decennio una campagna molto violenta, premeditata da una costola di Al-Qaeda, l’ISIS, avrebbe dilaniato Parigi.
“La realtà a differenza della fiction non deve avere senso”. Nella vita reale ci sono tante variabili che in un romanzo, per non comprometterne la scorrevolezza, non sempre vengono inserite. Latenti si succedono apparenti incongruenze che invitano a interrogarsi. Porsi la domanda: le cose stanno veramente così? Perché ci stanno raccontando questo e non altro? L’approccio investigativo viene così da Cappi attualizzato: “perché la maggiore teocrazia sciita dovrebbe finanziare un particolare gruppo sunnita, Hamas? Perché l’Iran dovrebbe far un favore a Israele?”. Attraversando gli schermi e le notizie unilaterali, indagandole da fondo, si perviene al fatto che Israele è un paese affine alla Russia, sicché dal conflitto economico ricavano guadagno tutti tranne i palestinesi. Qualcosa che dunque apparentemente sembra non avere senso lo acquisisce unicamente nel momento in cui si congiungono tutti i fili. “Il nemico del mio nemico è mio amico”, e il nemico qui è Israele.
Scrivere spy stories coincide con il rendere giustizia ad un mondo sotterraneo: ci sono strati di verità che non sempre vengono esplorati. Una volta osservata per intero l’apparentemente disbrogliata trama, ci si rende conto che la soluzione dell’opinionista televisivo non corrisponde alla realtà. Scrittori di questo genere sollecitano ed educano i lettori a quei piccoli sospetti che logorano i mosaici disconnessi di informazioni. Si dice che la stagione delle spie sia finita nel momento in cui è finita la guerra fredda. Cambiamo i temi, si creano nuovi squilibri, ma certe tecniche non cambiano, rimane immutato il bizzarro metodo sul modello dell’arma che non deve sembrare tale, capace di insinuarsi persino dietro la seduzione di un profumo.
Durante l’evento sono stati inoltre sfatati da Cappi due miti: l’assenza di profondità psicologica nei personaggi e il ritenere le spy stories una “roba da maschi”, facilmente smentito dal fatto che una donna ogni due anni vince il Premio Altieri. 
Maestro indiscusso del genere è ancora una volta Fleming, il padre di James Bone: 007 ha insegnato a raccontare storie avventurose capaci di catturare l’attenzione e sviluppare simultaneamente problematiche interiori, le stesse che muovono i personaggi. Una linea comune unisce gli scrittori di spy stories a tematiche sul grigio, sul confine, sul dubbio. Sono rare chiavi di lettura anche geopolitica, che invitano a una riflessione sulla visione compromessa della realtà restituita dai media.

 

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