IL TEMPO DELLA NOTTE – EPISODIO DUE DEL NUOVO PODCAST PRODOTTO DA GIALLI.IT PER IL FESTIVAL DEL GIALLO

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In un istante, la paura si impossessa di me. L’ho sentito. Quel rumore felpato, invisibile, nascosto. L’ho sentito. Un brivido, la mano che trema, la voce spezzata: la paura. Chiudo gli occhi. Ripenso a quella mattina, la barca procedeva spedita verso il largo. Io correvo per tutto il ponte, seguendo le strade della fantasia. Le mani aperte a simulare un aeroplano, giocando a volare sempre più su. Ma ecco che l’immagine si fa sbiadita, come una cartolina ingiallita dal tempo. Ricordo la barca fermarsi, ancorandosi dove il mare rifletteva gli uccelli nel cielo. Mi sporsi per vedere i pesci che, muovendosi sul pelo dell’acqua, creavano piccole increspature dorate dal Sole. Ad un tratto uno di loro saltò, in una danza che affascinò i miei occhi carichi di meraviglia. A un tratto un’onda sbilanciò la barca, scivolai. Mia madre mi urlò da in fondo alla barca, mi girai, i miei occhi rivolti verso di lei, i miei pensieri verso il cielo, i miei passi verso il vuoto. Improvvisamente stavo cadendo giù. Lo stupore si trasformò in sconcerto. Un tuffo. L’acqua alla gola, il respiro soffocato dalle onde del mare, quel mare prima così calmo e che ora mi trascinava verso il suo stomaco. Mi dimenai, urlai, gli occhi si riempirono di acqua, mare e lacrime si mescolarono mentre le mani lottavano piatte per restare a galla. Lo sconcerto si trasformò in paura. Qualcosa mi trascinava giù, mi tirava in basso. Ebbi un altro secondo di respiro, prima di cadere nel vuoto. Il vuoto. Apro gli occhi, torno al presente. Sono nella stanza, il rumore dei passi è svanito. Non esiste suono più spaventoso di quello soffocato, non voluto dalla persona che l’ha prodotto. Regna il silenzio più assoluto ora in quel salone. Una goccia di sudore mi attraversa la pelle gelata, sento le gambe immobili, due tronchi piantati sul pavimento. Un soffio di vento. Sbatte una finestra. Senza neanche rendermene conto, corro. Spero di riuscire a trovare nuovamente il terrazzo, mi oriento nella direzione da cui mi pare essere arrivato prima. Vedo la luce della notte, la finestra è ancora aperta, la attraverso, sono fuori. Ormai regna il silenzio, illuminato dalla Luna spuntata dopo la pioggia incessante. Non sono solo. Mi giro, guardandomi alle spalle, ma sembra non ci sia nessuno. Non sono solo. Procedo verso il terrazzo, magari sporgendomi qualcuno potrà vedermi, potrà aiutarmi. Non sono solo. Arrivo alla balaustra. Mi fermo, riprendo il registratore. Lo accendo, il secondo audio ha scritto sopra “La paura”. “La paura è quello strumento che di solito ci permette di capire e di essere in pericolo, è una forma di protezione per la nostra vita, perché la paura ci permette di distanziare quelli che sono in pericoli, però all'interno dei romanzi gialli, dove la paura è la regina incontrastata del genere, serve proprio a farci capire quali sono quelle parti di noi che ancora non abbiamo esplorato e quali dei nostri, dell'anima, della nostra anima come esseri umani non abbiamo visto, quindi la paura è un campanello d'allarme, fa guardare i nostri mostri, tutte quelle cose che non vogliamo affrontare, le cose sgravevoli, e però ci serve perché sono proprio quelle invece che dobbiamo osservare e in cui ci dobbiamo assolutamente adentrarsi con tutti noi stessi, quindi nei romanzi gialli è proprio quello che andiamo cercando, se attraverso la paura e la suspense che andiamo a ricercare cerchiamo in realtà una comprensione maggiore di noi stessi. Davanti a me, ora, alla luce della Luna, vedo il mare. Mia fonte di respiro, mia paura più profonda. Forse è destino avere paura delle cose a cui teniamo di più, forse l’intensità di un legame è direttamente proporzionale al rischio di perderlo. Il mare: ultimo mio anelito di libertà, primo ostacolo della mia paura. Torno bambino. Una mano mi spinge in basso. La paura si trasforma in sconcerto. Precipito giù dal terrazzo. Due, forse tre secondi. Sento la pelle impattarsi al suolo, un rumore sordo, secco, un dolore lancinante che mi spezza la voce. Cado nel vuoto. Quando  riprendo conoscenza sono in un cortile. Apro gli occhi, c’è silenzio, mi guardo le mani. Lo sconcerto si trasforma in sangue. Il mio.

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