Di Claudia Siano
Pensate una domenica mattina
ventilata, una folata ricca di delicata poesia che vi accarezza il cuore,
capelli all’aria e una trentina di persone tra scrittori e appassionati ad
ascoltare Luca Crovi che legge, accompagnato dalla musica, la “Ballata del
carcere di Reading”. Tutto questo a Cenacolo Belvedere al Festival del Giallo.
Crovi è redattore della Sergio
Bonelli, editore, scrittore italiano e tra i maggiori esponenti della
letteratura di genere. Quest’anno ha scelto di parlare di un’opera che ha
scoperto tardi, oltre ad aver scoperto che Wilde quando era in carcere non
poteva scrivere, «solamente otto mesi dopo la detenzione ebbe la possibilità di
farlo e scrisse “De Profundiis”, una raccolta di testi che riguardano la morte».
A quel tempo, Wilde non sapeva ancora cosa il futuro avesse in serbo per lui,
non sapeva se oltre quelle sbarre avrebbe ancora potuto urlare nella scrittura
il suo sentire. Alla fine uscì, e poté scrivere anche la “Ballata del Carcere
di Reading”.
Si tratta dell’ultima opera di Oscar
Wilde, racconta la storia tragica di un detenuto. Si parla di terrore, la pena
di morte congiunta al senso di alienazione, al punto che nessuno può provare
compassione e mostrare pietà per il gruppo della parata dei pazzi, della
brigata del diavolo. Gli unici che ne piangono sono i reietti. Ogni prigione è
costruita con i mattoni delle sbarre. Luca Crovi sottolinea come la situazione
in carcere non sia cambiata rispetto a quella descritta da Wilde.
Si tratta di un romanzo che tenta di
dire no a qualsiasi forma di violenza, talmente potente da insegnare ancora
tanto, da rileggerlo, da rivalutarlo o, addirittura, da conoscere. Nell’opera, un
soldato viene accusato di aver ucciso la moglie, a seguire disperazione e un
bel mucchio di rabbia per la vita. Crovi spiega che Wilde mostra il disprezzo
che dilaga nei confronti di un uomo che vive in carcere.
Per Crovi gran parte della
produzione letteraria di Wilde è noir. “La Ballata del carcere di Reading” è un
testo carico di forte impegno civile, ancora attuale, usato da King quando ha
scritto “Il miglio verde”. Ancora oggi, secondo Crovi, parlare con quella
sensibilità del carcere è un modo per non dimenticare. «Dimenticati,
imputridiamo» tra le potenti parole di Wilde, in quella condizione in cui sono
completamente immersi nelle loro lacrime di sangue, in quella condizione in cui
solo il sangue è in grado di lavare il sangue, tra solitudine e dannazione. Un’
opera teatrale, contro le ingiustizie, evocativa, significativa,
indimenticabile.
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