Di Fabio Gaudiosi
Se domandaste a Loriano
Macchiavelli come ci si senta ad essere il padre del giallo italiano, lui vi
riprenderebbe, contestando immediatamente già la premessa del vostro quesito.
Dunque, se non il padre, Macchiavelli ci consenta almeno di individuare in lui
la figura di un maestro e non solo del giallo. Macchiavelli è un maestro di
scrittura, di arte, di vita; un uomo che ha deciso di rendere un genere
funzionale al raggiungimento di una giustizia sociale, che ha messo la sua
vocazione e il suo talento al servizio di un’idea di mondo.
L’incontro con
Macchiavelli al Festival non è un semplice omaggio, non è la copia sbiadita di
un ricordo, ma è la riscoperta di un autore che sa rinascere anche dopo più di
cinquant’anni di carriera. Un autore capace di cogliere ancora il suo perché,
di accorgersi che la propria voce, per quanto cambiata, ha ancora tanto da
esprimere, da condividere. È l’analisi dettagliata di una vita che ritorna, di
un mondo passato che però non è finito, che stupisce per il suo testardo e
insistente perpetrarsi.
Si è parlato di Bologna,
della sua diversità, delle differenze che hanno animato il “Gruppo 13”: quello
era un circolo affascinante, avvincente per le novità dirompenti che portava
con sé. Partecipandovi, Macchiavelli scambiò l’esperienza della vita con la
freschezza della gioventù: era più di un semplice gruppo di scrittori, era il
simbolo di un’urgenza di un messaggio che non temeva di confrontarsi con
nessuno, la volontà di dimostrare al mondo la propria idea.
Si è discusso del
rapporto con Francesco Guccini, un connubio artistico e personale proficuo, uno
scambio da cui è nato Benedetto Santovito, una storia di amicizia che continua
ancora oggi nel suo intrecciarsi.
Macchiavelli evidenzia come il romanzo non debba
celebrare quello che funziona, ma piuttosto demolire quello che è sbagliato,
cogliendo soprattutto gli errori verificatisi nei luoghi apparentemente più
civilizzati. Il crimine non può essere ignorato, nonostante ciò possa creare
inimicizie e scontri con uomini di potere. Lo scrittore non è un médium, non
legge il futuro nella sua astrattezza, ma è chiamato a leggere il presente, in
un’accezione nuova: capire il presente significa anche saperne cogliere il futuro,
vivendone la continuità.
All’evento, Macchiavelli
legge anche Gustavo Zagrebesky, il quale presagì come le società di oggi si
fondino su economia, politica e cultura. La cultura però vive assediata dalla
nullità della forza contrattuale dei suoi agenti, in un sempre maggiore
annichilamento della sua precedente autorità. Ma la cultura non deve adeguarsi
al potere poiché non è in grado di usarlo, essendo inesorabilmente condannata a
diventarne strumento laddove ad esso dovesse piegarsi. La cultura deve avere il
coraggio di denunciare chi la distrugge, chi la annienta, chi la vuole morta. È
compito di tutti e non più rimandabile.
Forse di uomini come
Macchiavelli ne servirebbero di più oggi, capaci di restituire il perché del
loro agire in ogni propria opera, senza lasciarsi andare alla scia del
proprio passato ma vivendo ancora il senso del loro presente.
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