"Come si uccide un gentiluomo: Tullio Avoledo". Terza giornata di Festival del Giallo

 

Di Matteo Rossi

Presentato da Denise Antonietti durante la terza giornata del Festival del Giallo, Tullio Avoledo ha raccontato con intelligenza e ironia il suo percorso di scrittore, segnato da una continua esplorazione narrativa: dalla fantascienza al noir, dal giallo alla denuncia sociale.
"I generi non esistono: servono ai cataloghi, non agli scrittori" dichiara, sintetizzando così la sua libertà creativa. Al centro dell’incontro, il suo ultimo romanzo “Come si uccide un gentiluomo”: un giallo che conserva la struttura classica, ma si apre a temi più ampi, fino a sfiorare l’inchiesta e lo spionaggio. Il protagonista, Contrada, è un personaggio a cui Avoledo è visceralmente legato, «mangio, bevo e penso come lui». 
Ma il romanzo è molto più di una storia investigativa. Attraverso la vicenda, Avoledo denuncia con chiarezza le distorsioni nella gestione delle risorse in Friuli, la sua terra. "Sulla carta il Friuli è autonomo dal punto di vista idrico, ma non è così: tutto è dato in appalto. Più le risorse diventano rare, più le paghiamo. E nessuno fa nulla". 
L’autore sottolinea anche come nei suoi libri spesso abbia anticipato temi poi finiti al centro del dibattito pubblico. È il caso dei commissariati cinesi presenti in Italia, in particolare a Prato: una vicenda che Avoledo aveva già affrontato in un precedente romanzo, quando ancora sembrava incredibile. "Mi diedero del folle" ricorda. 
Tra i temi ricorrenti della sua scrittura, anche quello del contrappasso, inteso come forma di giustizia: l’idea che ogni azione sbagliata debba trovare un momento di verità e riscatto, almeno nella finzione. "Se non si può fare nella realtà, possiamo farlo nelle pagine".
Durante l’incontro si è parlato anche delle sue origini da scrittore. Avoledo racconta di quando da giovane scriveva poesie per la sua ragazza dell’epoca e quando poi ha lasciato perdere la scrittura per venticinque anni, “mai pensavo che un giorno avrei scritto un libro” ammette ironicamente. Racconta poi il suo esordio nel mondo editoriale tutt’altro che facile: il primo manoscritto fu ignorato da una casa editrice milanese, senza nemmeno una risposta. “Neanche una bugia per consolarmi” ricorda lo scrittore con amara ironia.
Quanto alle sue radici letterarie, cita Salgari, «perché l’avventura è la prima cosa che ci attrae da ragazzi» e Stephen King, che ha influenzato profondamente la sua formazione, pur non risparmiandogli una battuta: «Diciamolo, non è portato per la fantascienza».
Avoledo si conferma una voce originale nel panorama letterario italiano: attraversa i generi, mescola linguaggi e riferimenti e costruisce storie che non si limitano a intrattenere, ma sanno anche leggere con lucidità le crepe del presente.

 

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